Istituto Artemisia

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Coaching Istituto Artemisia

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Riepilogare 3 anni di vita in una manciata di minuti, può sembrare semplice, ma non lo è affatto. È stato difficile pensare a COSA volevo portarmi via, e vi assicuro, é tanta roba.

Ho pensato molto a questo momento. A come lo avrei voluto. Ho pensato che sarebbe stato ‘speciale’, che sarebbe stato grandioso. Ho immaginato e sentito l’emozione, la gratitudine che avrei provato. Ho anche desiderato che fosse un momento memorabile per voi, che mi state ascoltando. Ho avuto la pretesa di lasciare un segno e ora non mi vergogno a dirlo: ho sperato di sorprendervi, di fare e dire qualcosa di rilevante, d’impatto, di utile, qualcosa che avesse un senso anche per voi.

Con questa pretesa in testa, nulla sarebbe stato abbastanza. Come nulla è abbastanza per me, in ogni giorno della mia vita. Perché devo fare sempre qualcosa in più e non basta mai. > Ecco: se devo riepilogare questi tre anni della mia vita, condivido con orgoglio questa mia grande scoperta e conquista: il coraggio di vedere questa parte di me e di metterla a nudo davanti a voi. La mia spinta alla perfezione, che a tratti potrebbe sembrare ‘brama’ e ambizione, ma io lo sento più come un voler arrivare dappertutto senza avere un punto di arrivo preciso.

Ora so che dipende esclusivamente da me e dal modo in cui ho reagito alla vita fin da piccola. Ora vedo chiaramente il nesso tra questa spinta a voler arrivare, dove non riesco mai ad arrivare, e la mia paura.

Le avevo analizzate tutte le paure quando Arianna ce le aveva presentate: volevo scoprire quale, tra le paure universali, fosse la mia. Perché sì, tutti ne abbiamo una, o più di una, e quando le evitiamo, quando non le guardiamo con la dovuta cura e attenzione, diventano sempre più grandi e prendono il sopravvento sulla nostra vita.

La paura di non essere amata non riuscivo proprio a prenderla in considerazione, mi pareva assurdo ripensando al mio percorso di vita. Jolanda, mia madre mi ha desiderata moltissimo dopo aver avuto mio fratello, ma era debole, malata, ha scelto ugualmente di cercarmi e ha dato la sua vita per la mia… credo non esista forma più grande d’amore, non credete? A 5 mesi l’ho persa e tutta la famiglia mi si è stretta intorno come se fossi un dono del cielo, una piccola Jolanda, un angelo voluto dal destino.

Il dono che mi ha fatto, la sua vita per la mia, dovevo meritarmelo, DEVO meritarmelo OGNI santo giorno. Un angelo, deve essere un angelo, non ci possono essere mezze misure, non si può essere angeli a metà. Devi confermarlo ogni giorno, in ogni gesto.

È un po’ come spostare la linea di arrivo ogni giorno un po’ più avanti. È un po’ come pretendere l’impretendibile. Ricercare continuamente questo modello d’amore in tutto ciò che ti circonda e ti ruota intorno; è un po’ come ambire a replicare qualcosa che non esiste, perché non lo hai conosciuto e vissuto, puoi solo immaginarlo.

Perdonate il modo un po’ crudo con cui comincio questa condivisione, ci tenevo a sottolineare quale fosse il punto di partenza di questo mio percorso. Ora però assaporiamo qualcosa di più gustoso: le tappe di questo mio viaggio.

Il primo passo di questa mia avventura è stato quello di scegliere di partire.

Il counseling mi aveva sfiorata diverse volte negli anni precedenti. Alcune colleghe avevano frequentato il centro Berne di Milano e mi avevano coinvolta con molto entusiasmo, in qualche tappa del loro percorso.

Volevo farlo.

Sentivo di avere uno spazio dentro di me per accoglierlo. Ma avevo paura di non farcela, di non avere sufficienti risorse per arrivare fino alla fine, paura di fallire, di deludere, chissà chi poi.

>Nelle mie affannose ricerche di ‘un segno’ che potesse ispirarmi e tra un alibi e l’altro che mi portava a non trovare il corso e la scuola alla mia portata, mi sono imbattuta nel sito di Artemisia, la prima scuola di counseling ad Ivrea.

Ho telefonato ad Arianna. Mi invitò a sperimentare senza impegno la prima lezione: paura e rabbia. Un richiamo, una coincidenza, la sincronicità degli eventi: per la prima volta ho deciso velocemente di iniziare senza sapere fin dove sarei arrivata. Non mi interessava. Ne volevo ancora e ancora, ma ero disposta ad accettare che sarei andata avanti solo fino a quando ne avrei avuto voglia.

Ci è voluto pochissimo per capire che ero arrivata nel posto giusto: un gruppo di persone accoglienti, un ambiente aperto, uno spazio di silenzio e ascolto come non ne avevo mai vissuti. Le serate in Artemisia sono diventate per me la mia isola felice. Uno spazio in cui poter ‘stare’ senza bisogno di niente altro. Mi sono tolta ogni mia maschera, ho esposto le mie debolezze e i miei errori, mi sono fermata per ascoltarmi e ho conosciuto parti di me che non avevo mai visto prima.

Prima di tutto ho scoperto di avere paura, cosa che per un adulto è difficile vedere, ammettere e condividere. Associavo la paura all’essere infantile. Così la compensavo attraverso il bisogno di controllo, compiacendo gli altri, e giudicandomi. Chi giudica molto, ha molta paura. E più mi giudicavo, più pativo il giudizio degli altri. Pretendevo di non sbagliare e poi, quando sbagliavo mi accusavo. Oppure mi deprimevo pensando di non farcela.

  • Ho iniziato il mio tirocinio in azienda, tenendo per mano il mio giudice interiore: dovevo essere brava altrimenti chissà cosa pensano gli altri !!! Ho fatto colloqui ai miei colleghi di lavoro, cercato risorse per gestire la mia ansia da prestazione, accettato la paura di fallire, ho messo da parte il bisogno di ‘prepararmi’ ripassando le fasi del colloquio e le ho sostituite pian piano con il bisogno di centrarmi, di sentire come stavo prima di accogliere il bisogno altrui.
  • In azienda e fuori dall’azienda ho toccato con mano il bisogno crescente di questa professione.
  • Chiedere aiuto è un argomento un po’ tabù. Ma in questo periodo di pandemia tutto si è ribaltato e abbiamo il dovere morale e sociale di usare tutto ciò che sappiamo per metterci al servizio di chi ha perso di vista le proprie risorse, di chi attraversa un momento di difficoltà… in tantissimi ultimamente.

C’è sempre un bisogno alla base di tutto, ed è importante prendersi la responsabilità di vederlo e soddisfarlo, senza delegarlo ad altri.

Il coraggio non serve. Non serve neanche dire ‘non devo avere paura’. Non serve fuggire. Bisogna solo imparare ad accettare la paura e conviverci. Può diventare una buona amica. La buona notizia è che tutti ce l’abbiamo, nessuno escluso. E voi di cosa avete paura? Ve lo siete mai chiesto? Potreste anche scoprire di avere paura della vostra potenza, della vostra stessa luce. Perché spesso è questo a farci più paura, ma non riusciamo a vederlo. E quando permettiamo alla nostra luce di risplendere, inconsciamente diamo agli altri il permesso di fare la stessa cosa.

In questo percorso ho imparato a creare uno spazio sospeso dentro di me. Prima entravo in affanno per riempire il silenzio e il vuoto. Ho imparato a saper aspettare, a stare con quello che c’è, a fermarmi sul qui e ora.. Ho costruito fiducia: in me, nel cliente e nel processo. E ho imparato a respirare. Non lo sapevo fare. Mi sorprendo ancora spesso a stare in apnea, a trattenere il respiro – è liberatorio ricominciare a respirare a pieni polmoni e sentire l’ossigeno che pervade il corpo, sentire di potersi espandere, di poter allargare il proprio spazio – di non essere più un angelo a metà.

Ho sperimentato il potere delle domande: ‘in questo momento cosa sta accadendo dentro di Me?’; ‘cosa significa per Me?’ – ‘cosa c’è di me in quella situazioni’ ‘ cosa vedo di me in quella persona?

Qui voglio aprire una parentesi sulla mia ombra, un’altra inaspettata scoperta di questo mio cammino. Jung diceva che tutte le realtà che rifiutiamo, ignoriamo e giudichiamo sbagliate entrano a far parte del nostro sacco, le buttiamo dietro di noi, per non vederle più. Ma ci sono sempre, le trasciniamo come un fardello senza saperlo.

Così quando qualcuno ci infastidisce, sentiamo che qualcosa ci aggancia: può rappresentare una parte di noi che non vediamo, che abbiamo messo via, che ci è stato insegnato essere sbagliata.

Io ho scoperto la mia ombra grazie a Valeria Marini. Odiavo tutte le persone che si atteggiano come Valeria Marini, che ostentano le proprie prosperosità come Valeria Marini, che sculettano come Valeria Marini. Insomma non potevo proprio vederla povera Valeria…ma poi ho capito. Io quella parte lì, la mia femminilità, la mia sensualità l’ho sempre nascosta, me ne sono sempre vergognata, ho imparato fin da bambina che non è buona cosa. Sono cresciuta così. Difficilmente cambierò comportamento o mi trasformerò in una Valeria Marini, ma sicuramente aver visto anche quella parte di me mi ha permesso di accettarla, di scoprirla e il prossimo passo sarà provare a integrarla, a non far finta che non esista, a non odiarla e reprimerla, non essere più un angelo a metà.

Un’altra cosa che mi ha sempre travolto intensamente è la morte: un altro argomento tabù per me da quando è morto mio padre. Meglio non parlarne. Meglio cacciarlo via. Troppo pudore e perbenismo dietro la nostra incapacità di dire a qualcuno che sta per morire ‘sí è vero stai per morire. Hai paura? Anche io ne avrei al posto tuo’. Il dolore è troppo grande, difficile da gestire, lo ricacciamo indietro e ci limitiamo a dire ‘ma no figurati. Ti aspetto alla fine della malattia. Vedrai che andrà tutto bene’. Ma queste parole non servono. Fanno solo ancora più male alle persone, che si sentono così invisibili e incomprese. Si sentono prese in giro, in mezzo a un gioco delle parti che non serve a niente e a nessuno.

>L’ho sperimentato nel progetto ‘una famiglia per una famiglia’ in cui sono tutor. Un padre di famiglia malato terminale che rivolge tutta la sua rabbia per la sofferenza verso chi lo circonda, due figli troppo fragili e inermi che ruotano attorno ad una mamma che fa, corre, si affanna e usa tutte le sue risorse per evitare il confronto troppo crudo con la realtà. Ognuno con il proprio interesse a restare in posizione di difesa.

Ma alla fine ascoltando e riascoltando scopri che c’è un interesse comune, un piccolo chicco di felicità condivisa rimasto sepolto ed è lì che la famiglia in difficoltà riscopre la propria tenacia e ti rendi conto che è una forza che va aldilà dell’amore, è una forza che quasi fatichiamo a controllare se riusciamo a liberarla e che è fatta della moltiplicazione delle nostre risorse ed energie individuali.

  • E allora facciamolo circolare questo amore, questa energia, questa luce! Mi chiedo: possiamo imparare ad amare di più? Possiamo far sentire tutti un po’ meno soli? Molte persone oggi giorno si ammalano fino a morire solo perché gli è mancato un po’ d’amore.

Ne ho respirato tanto di amore nel gruppo di auto mutuo aiuto dei genitori adottivi: un’esperienza vissuta come mamma-counselor in cui ho scoperto la potenza dell’amore, la frustrazione della mancanza d’amore. Ho incontrato genitori con un amore infinito da dare e le storie dei loro figli con tanto amore da chiedere.

Il gruppo è stata una cornice di valori e motivazioni. Patrizia sempre presente con discrezione sullo sfondo a creare spazio e ascolto. Un mondo che mi sembrava molto lontano dalla mia vita ma che mi è entrato dentro in modo dirompente tanto da indurmi a desiderare di diventare genitore affidatario. Chissà se mai lo farò…

…Perché mi hanno sempre detto di essere troppo sensibile. Troppo troppo? Ma cosa significa? Che sento? Che sento più intensamente della media delle persone? Sono cresciuta pensando di sì, pensando di dover cambiare, di dover annullare questa parte di me. A tratti l’ho anche fatto. Nei momenti più dolorosi della mia vita mi sono spenta. Ho messo il pilota automatico. Faccio ancora fatica a mettere i confini, ma ho imparato a scegliere, a chiedermi se voglio o se devo, a prendermi la responsabilità delle mie scelte e la maggiorparte delle volte, molte cose, mi piace proprio farle, sento riempirsi il cuore ed esplodere la passione, così dó spazio a questo: ascolto il fluire delle mie sensazioni e dirotto le mie azioni dove sento di voler andare. Cerco il mio ‘significato’, il mio ‘senso’, ho smesso di aspettare che siano gli altri a deciderlo per me.

Ci ho messo tanto tempo a vedere tutto questo, forse troppo, ma ora sono qui, all’alba dei miei 45 anni per condividerlo con voi e per dirvi che in realtà non sarà una fine, perché per me questo è solo l’inizio.

>Un grazie grande va a questa scuola. Qui ho fatto cose che non avrei mai pensato di fare. Non mi sono posta limiti. Ho sperimentato tutto ciò che mi ispirava. Ho osato. Sono diventata parte di una rete. Grazie Arianna per aver desiderato, creato e amplificato questo progetto di trasformazione e contaminazione; non mollare mai in questo intento: le persone hanno un gran bisogno di tutto questo!

Poi voglio ringraziare mio marito, Davide: mi sei sempre accanto, con la tua mappa e i tuoi modi, ma ci sei, nonostante io ti metta a dura prova tirando fuori nuove parti di me di cui anche io mi sorprendo. Ho scoperto che con te non voglio invecchiare, ma voglio tornare bambina.

Grazie a Giulia e Matteo, i miei piccoli grandi pezzi di cuore. Avete rinunciato tante volte a stare con me per permettermi di studiare, di fare tirocinio, di fare colloqui. Vi siete messi da parte con discrezione e alcune volte anche spronata ad andare avanti. Un po’ vi ho trascurato, per diventare una persona migliore anche per voi.

Grazie a Valentina, mia capa, compagna di avventure, mentor, coach. Se sono qui oggi è anche perché sei stata la prima a farmi vedere la mia sensibilità come una risorsa e non solo per me. E me lo ricordi ogni volta che me lo dimentico. Sei capace di scuotermi e rimettermi a posto ogni volta che mi incricco in qualche passaggio difficile. Tu e Alessandra avete creduto in me tanto da farmi sperimentare in azienda, un posto in cui non era mai stato dato spazio al counseling prima. Grazie a entrambe per aver innescato questa miccia.

Grazie alle mie amiche di sempre, vicine e lontane, ai colleghi, ai compagni di scuola, diplomati e da diplomare: chi mi ha ispirata, chi mi ha spronata, chi mi ha sbloccata, chi mi ha rassicurata e sostenuta. Ognuno di voi mi ha aiutata a suo modo a ‘fiorire’ (come direbbe qualcuno di voi) e anche se non vi cito uno per uno, sono certa possiate sentire quello che sto provando per voi.

Un grazie va anche a chi, nel corso della vita, mi ha fatto male. La forza per iniziare questo percorso è anche partita da lì. Grazie a chi mi ha fatto sentire piccola, incapace, limitata, ‘troppo’ sensibile, a chi ha provato a spegnere la parte più bella di me, la mia luce perché mi ha permesso di tirare fuori la forza di riscoprirmi e capire che so diventare accecante per qualcuno e questo può far paura.

Ma il ringraziamento più grande devo farlo a me, non so se sono ancora un angelo, sicuramente non mi sento più a metà. Grazie per tutto quello che sono, per aver fatto luce su tutte le mie parti e per ogni passo avanti ma anche indietro che ho fatto e che farò. Grazie Manuela. E Buona vita a tutti.