Istituto Artemisia

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Coaching Istituto Artemisia

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SOSTEGNO

Crescita personale Istituto Artemisia

CRESCITA PERSONALE

Operatore olistico Istituto Artemisia

PROFESSIONISTA OLISTICO

Ho immaginato tante volte questo momento nei tre anni di scuola, mi sono vista e rivista in tanti modi, ma mai avrei immaginato di essere così incinta e così online!

Prima di tutto grazie! alla vita, per essere così imprevedibile e creativa, grazie a me stessa per essermi data e aver sfruttato questa opportunità fino in fondo, grazie ad Artemisia ad ogni singola anima che ci ha nuotatto dentro o ruotato intorno. Grazie  ad Arianna, alla sua umanità, accoglienza coerenza ed energia. Grazie a Paolo per avermi supportato fin da subito con fiducia incondizionata, per aver colto la mia essenza e per aver accolto il cambiamento e grazie alle mie splendide figlie.

Cresco in  un piccolo paese di poche anime,  in cui tutti ti conoscono, ed è facile che tu impari a conoscere te stesso con gli occhi degli altri ed è ancora più facile rimanere aggrappati alla versione che gli altri hanno di te. Almeno, a me è successo un po’ così.

Letizia, figlia di, mamma di, moglie di, nuora di, cognata di, sorella di…

La massima espressione di questa mia modalità relazionale (essere di..)arriva con la scelta di lavorare nell’azienda della famiglia di mio marito. Questo ha obbedito a credenze profonde a echi antichi radicati inconsapevolmente dentro di me. Poi c’era la vita sociale, la parrocchia, gli incontri, in cui mi misuravo costantemente con una famiglia di origine impegnata, impegnativa a tratti ingombrante, a cui va tutta la mia gratitudine, ma mi è servito del tempo e del lavoro su di me per distaccarmi da certi schemi. Mi sentivo come su un palco e l’ansia da prestazione di recitare bene la mia parte di brava ragazza  mi allontanava da me stessa, dal mio centro ed ho smesso di chiedermi se davvero credevo in quel facevo e dicevo.

 Per anni sono stata un’attrice (una brava attrice!) che si è attenuta a un bel copione scritto per me da altri. Inizialmente ci sono stata bene, mi sono calata totalmente in una parte che sembrava davvero disegnata ad hoc per me!

Ero una bella protagonista, brava ragazza, brava moglie, brava mamma, pronta ad occupare un posto che tutti pensavano giusto per me. Ma io non mi sono mai chiesta davvero se lo volevo quel posto e tanto meno ho pensato al costo altissimo che aveva questo per me.

Non mi mancava proprio nulla, eppure ogni giorno avevo un pezzo di insoddisfazione in più.

Ci ho messo tanti anni a rendermi consapevole di questo, anche perchè, se è vero che  “ad ogni rinuncia corrisponde una contropartita considerevole”, devo ammettere che la mia contropartita mi compensava e riuscivo ad attingere le mie soddisfazioni dall’essere la mamma di, la figlia di, la moglie di, la nuora di…ero di tanti, ma non ero di me stessa e ancora non lo sapevo.

Ero di tutti, ricoprivo bene ogni ruolo, ma avevo la sensazione di non abitarmi davvero. Mi sentivo come proiettata nei ruoli e nelle cose da fare senza afferrarmi. Facevo bene le cose che gli altri avevano pensato buone e giuste per me e più lo facevo più avevo la percezione di allontanarmi da me, di non conoscermi più di diventare grigia.

Gli ambienti che frequentavo, la diocesi, la parrocchia, il paese, gli amici di sempre iniziavano a starmi stretti. Avevo la sensazione di vivere in un mondo fatato e per questo finto. Avevo la percezione  che uscendo da quegli schemi e iniziando a sporcarmi di vita diventavo vera.

Questo mi piaceva, ma non sapevo bene come fare, dove afferrare.. a chi chiedere

E’ così che arrivo in Artemisia, svuotata da anni in cui sono stata di.. piena di domande e con una fiducia incondizionata nel processo. Artemisia è stato il primo posto in cui ho iniziato a non essere più di..

Ero semplicemente Letizia. Avevo la sensazione di essere una tela bianca, con la possibilità di colorarmi  tutta da capo.

Avevo fame di me, della mia essenza.

In Artemisia inizio a scoprire e a riscoprire i miei colori.

Io così sabauda, così o bianco o nero, così sferzante nelle critiche, così decisa sulle cose, così tranchan così giusto o sbagliato, bene o male sì o no.. Eccolo il  mio primo colore: nero, come il mio giudice interiore. In una visualizzazione con Arianna mi si presenta come un drago scuro e stanco legato alle catene. Lo guardo, lo osservo, ci vado vicino, mi siedo un po’ accanto a lui che mi appoggia il muso sulla spalla..Può iniziare a riposare un po’:con tentativi ed errori inizio a riconoscerlo nelle situazioni, sono consapevole di dove si trova e di come riuscire a tenerlo a bada.. Lo vado a trovare di tanto in tanto e il suo nero mi è utile a fiutare le situazioni, ma ora è più buono, ha imparato a non mordere più.

Per arrivare a fare questo mi è servito tanto rosa. Il rosa rappresenta per me la risorsa dell’ascolto. Prima di tutto l’ascolto di me stessa, dei miei bisogni, di cosa sento, come lo sento e dove lo sento accompagnato dal verde che è il saper esprimere agli altri e a me stessa  quei bisogni.

E qui condivido con voi la realizzazione dei miei primi bisogni : la donna delle pulizie, qualche uscita con le amiche, lo stare un po’ da sola, lo sport, comprarmi vestiti, osare con il trucco..

Ho iniziato a verbalizzare e a dire esplicitamente le cose di cui avevo bisogno senza sentirmi più giudicata da me stessa o in colpa verso mio marito e le mie figlie. Ho iniziato a palesare i miei limiti, a darmi delle priorità e soprattutto a mettermi in cima a quelle priorità! E questo è il mio giallo. Caldo come un bel sole di maggio. E’ il bene verso me stessa, la cura per il mio corpo e per le relazioni anche fuori di casa.

Questo mi ha permesso di imparare a mettere dei sani confini. Poco per volta, in modo quasi impercettibile ho iniziato a dire i mie NO, ho levato il camice da crocerossina, ho smesso con  la disponibilità totale e incondizionata verso tutti, quella che mi annientava e così non sono più stata invasa da fardelli non miei. Ho delimitato una zona privata in cui ci sono io e basta. Questo mi permette di non farmi agganciare dalle  situazioni, mi salva dal lasciarmi prendere, mi da il giusto distacco sulle emozioni, mi permette di vedere le cose da angolazioni diverse. E’ il mio azzurro.

Ho smesso di essere bersaglio di chi interpretava i miei pensieri, cercando di definirmi e non lasciandomi così la libertà di esprimere me stessa. Ho imparato a togliermi,senza scappare, da situazioni che mi incastravano. Ho lasciato cadere lasciando la presa dell’avere tutto sotto controllo. La leggerezza che mi ha sostenuto nel legittimarmi tutto questo è di un bell’ argento glitterato!

Mi sono lasciata massacrare per diversi anni, da qualche persona in particolare, a cui ho lasciato lo spazio di farmi credere che avevo paura e basta. Che ero debole.

Oggi, con la necessaria clemenza verso me stessa, con la soddisfazione di essere perfettamente imperfetta e con la consapevolezza che proiettiamo sugli altri quello che non vogliamo vedere di noi (e viceversa) mi riprendo quella parte così massacrata e me la coccolo. Non la vedo come debolezza, la chiamo resilienza, accettazione compassione e comprensione per ciò che sono ed è viola. E’ la parte sensibile, che capta, che sente, che intuisce che percepisce, che annusa. Ho permesso che mi dicessero che era sbagliata: oggi la vedo come il mio punto di forza.

Mi sono data la possibilità di essere fragile. Fragile come un cristallo. Nell’etimologia di questa parola (dal latino frangere ,spezzare) trovo tutta la forza che ci sta dietro il mostrare le proprie fragilità. La delicatezza della fragilità che fa i conti con la potenza dello spezzare. Mi riconosco in questo ossimoro e mi sento comoda in questa contraddizione. Perchè è proprio quando mi sono permessa di essere anche fragile, senza voler dimostare e affermare un’idea di forza non mia, che ho trovato la forza di spezzare con le cose che non sentivo più buone per me. Far uscire la mia fragilità  mi ha fatto fare i conti con il mio ego, l’ha sgonfiato, l’ha ridimensionato e in questa dinamica mi sento in empatia con me stessa e con le persone che mi circondano. Questo è lo spazio sacro che si crea nei colloqui, questa la dimenzione  mi permette di scendere in profondità dentro di me, facendomi  riconoscere la relazione come specchio.

Nel cercare il viola ho ritrovato il rosso: la paura e il coraggio. Due lati della stessa medaglia.

Uno non può prescindere dall’altro. Se si attiva il coraggio vuol dire che si ha già conosciuto la paura. Per dirlo all’Arianna sei già nella stanza della paura.

E io di paure ne ho incontrate parecchie in questi anni, ma per ognuna (quasi ognuna..) ho attivato un coraggio di un rosso che non sapevo di avere.

Il coraggio di non lasciarmi da sola, di ascoltarmi, di mostrarmi per quella che sono, di sbagliare senza massacrarmi, di non essere perfetta, di non avere tutte le risposte, di dire non lo so, non ci avevo pensato, mi sono sbagliata. Il coraggio di ritrattare, di cambiare idea, di  lasciarmi andare, di avere fiducia nel processo, di piangere davanti a chi mi vuole bene, di legittimarmi di avere paura, di buttarmi in cose che non ho mai fatto prima..

Il coraggio di farmi stravolgere i piani, di non avere più tutto sotto controllo. Il coraggio di affrontare i miei primi colloqui, di guidare in centro a Torino, di mettermi alla prova con cose del tutto nuove ed inedite.

Coraggio che, come ci ricorda Arianna, è l’azione del cuore: scelgo di prendermi cura di me. Mi assumo la responsabilità (intesa come abilità di rispondere) prima di tutto con me stessa.

In tutti questi passaggi, tra tutti questi colori, la tela bianca dell’inizio sta prendendo una forma sempre più a forma di me.

Nel counseling ho riscoperto un vecchio amico. Era qualcosa di sepolto dentro di me. E più aggiungo strumenti nella mia cassetta degli attrezzi, più sento di riscoprire un legame con qualcuno che mi conosce da sempre. Del counseling amo la delicatezza, la pragmaticità, l’umiltà del rispetto dei confini. Mi piace aiutarmi e aiutare l’atro a riscoprire le proprie risorse.

Risorsa, da risorgere. Lascia in bocca  il sapore della rinascita. Le risorse sono come le prime gemme in primavera: l’inverno gela, sembra quasi far dimenticare dell’esistenza di un rifiorire, ma la primavera sa arrivare comunque. A volte succedono inverni dentro di noi che ci fanno scordare di avere dentro di noi tutto quello che ci serve per fiorire e rifiorire ancora e ancora…

Concludo questo percorso alle porte di una nuova primavera che arriva con le sue prime gemme e io mi sento come ad una cena in piacevole compagnia, dove non c’è bisogno di spiegare il viaggio, Io so dove sono e come ho fatto ad arrivarci e tutti intorno sembrano comprenderlo. Le maschere vengono smascherate, le diamiche vengono comprese.

 Una sera d’estate, una brezza leggera, intorno a me le persone che amo. Mi piace ciò che sono, ho voglia di mordere la vita, di buttarmici dentro lasciando che il creatore sia creativo. Mi sento strumento, oltre che tela colorata.

Con il desiderio di lasciare qualcosa del mio passaggio.