SI FA PRIMA A FARLO CHE A DIRLO
Sono passati più di 3 anni e mezzo da quando la prima volta ho contattato l’Istituto Artemisia per informarmi sul percorso triennale per diventare Counselor. Avevo cercato su internet le possibili professioni per aiutare il prossimo partendo da sé stessi dopo un lungo percorso personale. All’epoca c’era la possibilità di ritornare a lavorare in Francia e desistetti dall’iscrivermi. Il percorso lavorativo però mi tenne a Torino e, grazie al sistema circolare della scuola, ebbi la possibilità di iscrivermi durante l’anno. Mi ci volle molto coraggio per prendermi un impegno di tre anni non sapendo se sarei riuscita a portarlo termine. Me ne sono presa la responsabilità e ci ho riposto tutto il mio impegno malgrado a volte arrivassi dall’aeroporto, o da qualche centinaio di chilometri di auto e il fine settimana era l’unico momento di riposo, ma non ho mollato. Potete dunque immaginare la gioia di questa sera che decreta il compimento di questo percorso.
Ricordo perfettamente il mio inizio. Scolaretta perfetta, quaderno alla mano, mille domande, tanta sete di imparare. La domanda era sempre la stessa: “perché scrivi?” Risultava strano che annotassi tutto tenuto conto che nell’area privata del sito della scuola ci sono tutte le dispense delle lezioni ma per me è un modo di interiorizzare. Non rileggo quasi mai i miei appunti perché mentre scrivo li memorizzo, entrano a far parte di me. Ognuno ha la sua particolarità.
Dopo pochi mesi, per l’esattezza durante l’ultima lezione del mese di luglio, la Direttrice mi chiede di fare il primo colloquio come counselor in classe. Prima cliente IRENE. In merito ad Irene voglio aprire una parentesi. Credo alla prima lezione, prima di fuggire tutti dalla classe alla tarda ora delle 23, Irene mi si avvicina e mi scocca un tenero bacio sulla guancia. Ricordo di essermi sentita accolta grazie a lei e di essermi sciolta. Mi era nota la mia difficoltà ad inserirmi in un gruppo sentendomi sempre diversa ed avendo confini marcati per la paura di soffrire. Ma torniamo al colloquio. E’ stato così naturale per me e mi sono sentita così bene dopo aver visto lei trovare una soluzione alla sua difficoltà! Il riscontro della Direttrice e dei compagni fu entusiasmante ma non riuscivo a crederci. Quell’anno mi portai in vacanza quella sensazione meravigliosa di essere finalmente nel posto giusto.
Nei due anni successivi non mi sono persa una lezione e neanche un residenziale. La potenza del Gruppo è entusiasmante. Ogni volta che uscivo da una lezione avevo un pezzo in più, mi sentivo sempre meglio. Meglio anche quando scopri cose “scomode” perché portare alla luce ogni aspetto di sé è la cosa più stupenda che possa capitarti.
Tornando ai miei appunti, ora sono stati utili per ripercorrere il mio percorso in Artemisia.
Ho imparato a rallentarmi. Ho sempre avuto una vita lavorativa frenetica, spostamenti continui e quando arrivavo in Artemisia e potevo prendermi il tempo di ascoltarmi e ascoltare era una vera panacea (il rimedio a tutti i mali!). Ricordo perfettamente le sensazioni di quando uscivo da lezione, centrata, serena, felice malgrado qualsiasi cosa.
Ascoltarsi che cosa sconosciuta, non perché non lo sappiamo fare ma perché è faticoso e a volte doloroso. Ma il nostro corpo ci parla continuamente, il nostro inconscio anche, attraverso i sogni, e le nostre emozioni di fronte a quello che ci capita gridano forte per fare in modo che riusciamo a superare le nostre tensioni. Perché alla fine di energia boccata si tratta, farla scorrere come un fiume che va verso il mare senza opporsi sembra sia il senso della vita. Lasciar fluire ed avere fiducia nel processo, quante volte l’abbiamo appurato durante anche solo un colloquio.
Ho iniziato a fare autocritica da ragazzina ed è stata una grande risorsa perché mi ha permesso di pormi sempre tante domande e nella ricerca delle risposte ho sempre trovato un pezzettino in più di me. Di fronte ad ogni difficoltà non mi sono mai arresa e se non riuscivo da sola ho sempre cercato aiuto in libri, esperti, tecniche e chi più ne ha più ne metta. Oggi so che le risposte le posso trovare in me.
Alle fine di un esercizio svolto durante la lezione di counseling narrativo con Elisa il termine ricorrente che lei usò per descrivermi è stato la tenerezza.
Vi riporto qui di seguito che cosa ho scritto quel giorno (2/7/2017):
“Credo si tratti della tenerezza che ho ritrovato nei miei confronti in questa parte di cammino sulla terra, lasciando andare l’aspetto giudicante e la pretesa di essere qualcosa di diverso da me. Cerco di scoprire pian piano la mia vera natura accettando ogni lato che scopro facendolo diventare un punto di forza. Non deve piacere a nessun altro, solo a me. Ho ritrovato la tenerezza verso quella bambina ascoltando i suoi bisogni, soddisfacendoli non appena possibile. Ho coltivato tenerezza verso questo mondo dove non volevo stare, diventando curiosa e apprezzando tutto quello che offre, e non si può non notare quante cose meravigliose ci siano! La mia tenerezza va anche alla nostalgia di mondi lontani, mi sono sempre persa nella linea dell’infinito del mare consapevole che non può essere tutto qua e ho lavorato duro per ritrovare il filo, la connessione e sono certa di non essere mai sola e di tornarci prima o poi. La mia tenerezza mi fa vivere la vita in maniera lieve perché alla fine non è che un gioco e con fermezza lo voglio giocare, mettendoci il meglio di me. Così magari quando torno di là ci torno arricchita e più preparata. La mia tenerezza mi permette di accogliere le cose belle e le cose brutte perché sono consapevole che fanno parte entrambe di questa esperienza e sono lì per me e per la mia evoluzione. Infine come non essere tenera con uno spirito che vola tra le galassie e che ha avuto il coraggio di venire a fare un’esperienza umana così difficile ma semplice e meravigliosa?! Quindi questo vale anche per tutte le anime come me in cammino su questo pianeta, come non essere tenera anche con loro? In fondo siamo tutti una cosa sola.”
Ricordo anche la prima volta che dopo un colloquio in classe Arianna, con gli occhi che le brillavano, mi ha restituito la mia dolcezza. E’ stato bellissimo ritrovarla. Ho sempre cercato di nasconderla per paura di essere ferita e ho sempre cercato di dare l’immagine della donna forte che non aveva bisogno di nessuno. Oggi non è più così, sono una donna in carriera, determinata, competente ma anche dolce, tenera e accogliente e questo ha cambiato radicalmente le mie relazioni in tutti i campi.
Ho imparato che chiedere aiuto non è una vergogna e che ricevere è possibile.
Ed ho ricevuto tanto in questa scuola. Ho conosciuto persone meravigliose che accolgono, ascoltano, condividono le loro emozioni in questo ambiente protetto da una magistrale Direttrice sempre attenta a salvaguardare “le pance” di tutti e a prepararci in maniera efficace e funzionale ad andare nel mondo ad essere di aiuto ad altre persone, cosa che lei ha nel dna, le viene naturale e fa superbamente.
Siamo relazione e mi viene in mente la preghiera della Gestalt:
- Io sono io e tu sei tu
- Io faccio la mia cosa e tu fai la tua cosa
- Non sono venuta su questa terra per soddisfare i tuoi bisogni né tu per soddisfare i miei
- Nel momento che ci incontreremo sarà bellissimo
- Altrimenti credo non ci sia niente da fare
La trovo una meravigliosa preghiera e malgrado ci provi è di difficile attuazione!! D’altronde non sono mica illuminata!! Ho imparato anche ad accettare e convivere con i miei limiti.
Insomma un po’ di sano Eutrapelos! Virtù, ben spiegata dal buon Pontremoli, che permette di distendersi dopo un eccesso di fatica, di tensione, di compressione intellettuale o spirituale, sia dopo un lavoro minuzioso di ricerca, uno di apprendimento o una decisione importante da prendere, insomma la predisposizione a scherzare, riderci sopra e ripartire!
C’è bisogno di smollare per reggere il peso della vita! E per fortuna il ridere e scherzare non sono cose che mi mancano. Lo sanno bene i miei compagni che sopportavano tutte le mie cretinate.
E poi c’è il salvifico silenzio! Che ci permette di non farci fagocitare dalle emozioni, abbassa il livello di ansia, ci permette di gioire del momento presente, di migliorare il nostro ben-essere interiore e la qualità della nostra vita. Ho potuto sperimentarne in questi di anni di scuola l’indiscutibile potenza che permette di entrare nella propria interiorità.
Capisco cosa volesse dire M.T. alla fine della lezione “fare rete” del 25/2/19 quando ha chiuso dicendo: “il counselor diventa uno stile di vita”. Ogni volta che ho un momento di transizione o un disagio momentaneo entro in colloquio con me stessa!! Come dice Arianna questa scuola insegna appunto ad essere in primis il counselor di sé stessi.
So che quando faccio i colloqui io mi sento davvero bene, amo lo spazio sacro che si crea nel rispetto totale dell’essere che hai di fronte e come a vicenda ci si aiuti ad andare in profondità.
Come in una fiaba, nella vita, c’ è un filo invisibile che lega l’inizio alla fine, un equilibrio si rompe, si trovano soluzioni, si ricostituisce un equilibrio e ci rimane l’insegnamento appreso! L’eccezionale Cristina Salà lo spiegò molto bene nella sua lezione del 18/6/19.
Spero di aver usato la regola delle 5C: chiarezza, completezza, concisione, concretezza e correttezza cara Simona “Coscialunga”, preziosa docente degli assiomi della comunicazione perché ora lo ricordo sempre che anche se non parlo comunico! Le mie facce hanno sempre parlato prima di me!!
E ora sto con quello che c’è, tanta gioia, emozione e sicurezza di non perdere nessuno di voi che resterete nel mio cuore.
Perché alla fine la cosa più importante è sapere di non sapere nulla e quello che conta è IL QUI E ORA!!
Vi ringrazio tutti dal più profondo del cuore.