Istituto Artemisia

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PROFESSIONISTA OLISTICO

Tesi di Diploma Artemisia – di P.B.

Ho fatto il mio ingresso nella scuola pochi giorni dopo aver subito un furto a casa. E’ stata una delle tante occasioni per cominciare a mettermi in gioco, sperimentando su me stessa cosa significhi stare nel qui e ora e col dato di realtà. Fermare il pensiero che possa ricapitare, mettere un confine al trauma, pur riconoscendo e onorando lo stato d’animo della mia paura. Tutto questo solo il primo giorno…. davvero troppo… diciamo che solo nei tre anni ho avuto modo di comprendere davvero cosa significasse tutto ciò.

Inizialmente il giudizio nei confronti di diversi elementi del gruppo nella scuola era forte e questo mi ha portato a legarlo a qualcosa di antico, ovvero la mia paura di non essere all’altezza nelle varie situazioni, di non essere apprezzata abbastanza, il timore di essere sbagliata, di essere appunto giudicata. Ecco cosa significa proiettare sul gruppo o su altri qualcosa che accade in me. Ho compreso che il giudizio su me stessa è più forte di quello che proietto sugli altri. Così come le care aspettative dagli altri, sono quelle che io stessa non ho adempiuto.

Grazie alle costellazioni famigliari ho sperimentato come possono cambiare i punti di vista, aiutandomi ad accogliere meglio l’altro.

In una successiva ardua impresa ho potuto soffermarmi a sentire cosa è il mio Sè e in che modo adotto i “come se” come strategia caratteriale di difesa, ho bisogno di spazio, emozioni forti e a volte fatico a trovare la giusta distanza, ma ora ne sono consapevole, un buon punto di partenza.

Ho sperimentato la sensazione di lasciar entrare nel corpo, respirando nella parte che sento ancora tesa, coinvolta dalla memoria di un’ emozione passata, ormai superata, domandandomi come potrebbe essere meglio di così o cosa mi serve per lasciarla andare via, delle semplici domande che possono aprire un mondo. Stando nella situazione, nella mia paura, ne aumento il controllo. Funziona davvero. Anche se mi richiede ancora parecchio impegno in una parte della mia vita, dove a volte mi viene da svincolare e non voler stare con la mia paura. La mente mi gioca a volte brutti scherzi, le tensioni sono esistenti e spreco un sacco di energia che vorrei utilizzare diversamente. Ma i lavori per ottenere ciò sono in corso….

Strada facendo ho capito cosa significhi stare nel gruppo, convivendo con le differenze di ognuno, sospendendo il giudizio, rispettando i bisogni reciproci. Insieme agli altri ho avuto modo di comprendere di più il mio mondo interiore, attraverso la comprensione del mondo interiore delle altre persone, su cui ho più volte proiettato le mie ombre e certi lati del mio carattere. Difatti non sono mancate le esperienze che mi hanno segnata in modo forte, di cui ancora oggi non mi so dare spiegazione. Ma tra tutto ciò che ho appreso rientra anche il fatto che in molte situazioni le spiegazioni non ci sono ed è inutile cercarle sul piano razionale, occorre accettare le cose come sono.

Un’ altra esperienza indimenticabile è stato il residenziale:  incentrato sull’ imprescindibile rapporto tra corpo e mente. Un parallelo tra la flessibilità di una parte che ha come conseguenza quella dell’altra parte; avere un corpo elastico che permette di essere ascoltato permette all’energia di attraversarlo e di conseguenza alla mente di essere più flessibile e di controllare meno, mollare un po’ gli ormeggi, lasciando che le cose succedano, con fiducia. Ovviamente mi sono resa conto senza alcuna difficoltà che gli ormeggi non li mollo così facilmente o comunque non in ogni situazione.

Ho potuto difatti constatare i limiti di come vivo il piacere, frenato dalla paura e che non ha importanza cosa vivo ma come lo vivo. In ogni caso quei giorni al residenziale sono riuscita a lasciare andare la mente, grazie anche alla meditazione kundalini.

Ho capito quanto il gruppo sia un allenamento, sperimentando il significato vero delle esperienze che si condividono in esso e ho compreso anima e corpo quanto possa essermi utile per conoscere ogni parte di me.

Nel corso della scuola ho affrontato per l’ennesima volta la mia ferita primaria, la disistima, sentirmi sbagliata e inadeguata con a seguito sensi di colpa, ma stavolta ho definito i miei confini, abbandonando sensi di colpa inesistenti e giudizi. Per la prima volta ho assaporato la libertà di non essere più appesantita dai sensi di colpa, cercando di fare mia l’ombra dei miei giudizi. Solo riappropriandomene la posso gestire.

Ho affrontato il mio senso di separazione, tentando di riappropriarmi di ciò che è mio e che vedevo proiettato in un’altra persona. Continuando a proiettare sugli altri ciò che mi appartiene faceva si che ogni volta che l’altra persona si allontanava io mi sentivo privata di una parte importante di me e questo mi faceva soffrire. Ho imparato ad ascoltare i miei bisogni e che la responsabilità delle situazioni è mia.

Dipendenza o proiezione positiva? Al di là dei nomi ho avuto modo di accettare sempre più il cambiamento di un rapporto di amicizia. Sono cambiata io, oltre che l’altra persona. Inizialmente avevo bisogno di questo rapporto così stretto in quanto le qualità che io non mi riconoscevo me le riconosceva l’altra persona. Quando sono riuscita a vedere realmente le mie qualità senza il bisogno che lo faccia un altro, non ho più temuto di perdere l’amicizia. Ho imparato che non posso vedere in un’altra persona delle parti che non siano presenti in me, altrimenti non riuscirei a vederle. Insomma una grande rivelazione direi!

Dopo i primi mesi di scuola, nonostante tutti questi abbozzi positivi, ho scoperto un mucchio di contraddizioni in me e ho avuto modo tra un laboratorio e l’altro di elaborare ulteriormente le esperienze e di sentirmi ancora più incasinata e tesa. Mi rendo conto che certe situazioni non mi fanno più soffrire come prima, le affronto con meno ansia, cercando differenti punti di vista nell’affrontarle, un esercizio, un lavoro direi continuo, ma spesso notavo in me più contraddizioni di prima.

Qualche tempo dopo ho provato a spiegare questo fenomeno come reazione dovuta ad un riassetto nella mia persona, per un passaggio da una naturale zona di comfort ad una fase caratterizzata da tentativi di rimettere in discussione delle credenze, abbandonandone alcune e sostituendole da nuovo atteggiamenti e visioni a me più funzionali.

Sentirsi accettati e compresi dal gruppo mi ha permesso di adottare tali atteggiamenti nei confronti di me stessa e verso gli altri.

Inizialmente la modalità relazionale che mi apparteneva era quella del responsabile. Tendo a voler tenere tutto sotto controllo, chiudendomi di fronte alla paura per evitare il dolore ad essa legato. So riconoscere i miei bisogni e prendermi cura di me ma la mia bassa autostima mi ha portata ad individuare in altre persone ciò che mi appartiene e che non mi riconosco; ad esempio vedo nel mio partner poca attenzione e precisione, quando sono io la prima a non considerarsi all’altezza e adeguata alle situazioni. Ricerco la perfezione nell’altro, quando io per prima sento di non aver fatto abbastanza e mi svaluto. Il mio approccio a volte aggressivo  per paura di non essere accolta o ascoltata denota il fatto che dovrei ascoltarmi io di più.

Già dopo sei mesi di scuola la punta del mio grafo non era più sul responsabile. Per lo meno qualcosa si era mosso.

Ora  mi percepisco più spontanea e mi do valore al di là dei giudizi e delle aspettative altrui.

Il tirocinio in Croce Rossa mi ha permesso di affrontare il tema dell’autostima. Ho cominciato con l’ansia da prestazione e col dover per forza trovare una soluzione, per poi riuscire a stare nel qui o ora. Non riuscendo a concretizzare il mio intervento avevo la sensazione di non aiutare a sufficienza.

Ho potuto sperimentare quanto il cambiamento di una parte del sistema possa ripercuotersi su tutte le altre.

Ho preso consapevolezza di altre mie parti, come la “noia” nella troppa precisione e programmazione delle cose. Di quanto la ricerca della prestazione e del risultato possano andare a scapito del lato affettivo e umano della relazione.

Ho constatato che l’efficacia del risultato non mi appaga completamente, rendendomi conto che una maggiore e comunque diversa soddisfazione l’avrei ottenuta e la ottengo nella spontaneità e nella creatività dei miei gesti più che nella perfezione.

La scuola mi ha permesso di appassionarmi ad argomenti di cui non sapevo dell’esistenza. Il mio primo libro di Jung mi ha aperto un mondo tra temi come l’inconscio, la sincronicità e i sogni. Mi sono scritta diversi sogni tentando di vederli sotto una luce Junghiana ed è una scoperta continua.

La lettura del mio primo libro di Jung “Ricordi sogni e riflessioni” ha segnato una fase molto importante della mia vita: mi ha fatto riflettere sull’insostituibile valore dell’esperienza religiosa e spirituale al di là di sterili definizioni o di riti di cui non ho mai compreso il vero significato. Jung si sentiva profondamente cristiano, ma al tempo stesso buddista, induista e altro ancora poiché, pur convinto della imprescindibile necessità di restare fedeli alle proprie radici, era giunto alla conclusione che quel Dio unico fosse al tempo stesso dotato di mille volti e che ad ogni cultura corrispondesse uno di questi.

Ho rimesso tutto in discussione, non accontentandomi più di dogmi o definizioni cattoliche. Ora ho voglia di approfondire,  di andare oltre non perché la mia fede sia in dubbio ma perché Dio è molto più grande di quello che pensassi prima.

Un percorso che mi ha portata a slegarmi sempre più dalla religione, alla ricerca della spiritualità.

Il mio interesse sfrenato per il mondo della quantistica. Grazie a libri come la “Matrix divina”  o  “La scienza perduta della preghiera” ho avuto modo di appassionarmi sempre più ad argomenti che prima non conoscevo e che ho tutte le intenzioni di approfondire, arrivando a scoprire che non potrei più farne a meno.

Mi ha appassionato ed entusiasmato tantissimo sapere che siamo circondati da un infinito campo energetico, i nostri corpi e tutto ciò che esiste intorno a noi sono la materializzazione di  questi campo. Il nostro cervello un’antenna che riceve informazioni provenienti dal campo stesso detto anche inconscio collettivo e il linguaggio con cui ci è possibile comunicare con esso sono le nostre emozioni.

Tutto ciò ha contribuito ad alimentare la mia curiosità ed il desiderio di andare a fondo; a non accontentarmi della visione meccanicistica che conferiva solo alla religione la possibilità di vedere nell’uomo uno spiraglio di potere e energia spirituali. Il fenomeno dell’ Entanglement e altre teorie hanno contribuito a scardinare tale visione; l’essere umano da semplice osservatore diventa il creatore della propria vita e l’artefice del proprio destino.

Del resto questi concetti li ritroviamo  in ogni insegnamento esoterico o alternativo, dallo Yoga agli insegnamenti vedici, al buddismo, allo sciamanesimo e perfino, appunto, nell’antica tradizione giudaico/cristiana.

Ed ancora argomenti come le neuroscienze, in particolare i pensieri che influenzano lo stato delle cellule, la mia realtà che riflette lo stato delle mie emozioni e dei miei  pensieri, la possibilità di riprogrammare il sistema limbico sede delle emozioni, individuando e affrancandomi dalle credenze e dai condizionamenti che tengono legati ad un modello; certa del fatto che la crescita delle cellule cerebrali non si ferma mai, si può sempre imparare, cambiare, crescere, pensare nuovi pensieri e  nuove realtà.

Insomma davvero tantissime scoperte, molteplici spunti di riflessione, appassionanti letture, che mi hanno condotta ad adottare nuove visioni che fanno oramai parte di me.

La fine della scuola è per me un nuovo inizio. Un inizio più consapevole, che segna il passaggio da una fase di inconsapevoli esperienze ad una di consapevoli difficoltà, ombre, punti deboli, non del tutto risolti ma sulla buona strada e con tanti strumenti in più per affrontarli e gestirli.

Questo mio percorso è stato un inesorabile e incalzante risveglio come se, ad un certo punto, qualcuno mi facesse notare che stavo respirando. Lo facevo da sempre anche prima ma ora me ne accorgo. Sento di essere diventata più capace di permettere a me stessa di essere ciò che sono.

Ringrazio di cuore Arianna, tutti i docenti e i corsisti che ho conosciuto in questi tre anni. Spero che con molti di loro le relazioni  di amicizia possano continuare ancora a prescindere dalla frequenza scolastica.

11 gennaio 2016