Tesi di Diploma Artemisia – di M.B.
Ripensando a qualche anno fa potrei dire che mi sono avvicinato al counseling quasi “per caso”, in un momento di difficoltà con il lavoro…ma sarà stato poi veramente per caso? O è stato semplicemente il momento giusto per iniziare questo percorso che mi ha portato qui oggi, che mi ha aperto la mente e l’anima oltre il pensiero razionale, la matematica, la meccanica classica e mi ha portato a scoprire che, in fondo in fondo, anche un ing. vive, non solo funziona! E meno male!
Tutto ebbe inizio a fine 2013, quando trascinavo con difficoltà il mio fardello apparentemente collegato al lavoro, all’essere un “team leader”, ad avere delle risorse “sotto”, delle responsabilità nei confronti dell’azienda…perché io dovevo essere perfetto, dovevo far tutto ciò che mi veniva chiesto e dovevo farlo presto e bene, non potevo perdere tempo in stupidaggini, dovevo essere serio, affidabile, dovevo fare le cose giuste al primo colpo.
In realtà l’implosione avvenne ben prima, con il passaggio dal mondo universitario a quello del lavoro, qualche mese dopo la laurea. Già, la laurea, quel giorno mia madre doveva badare alla zia anziana e non poteva certo perdere tempo a venire a vedere suo figlio che si laureava. In fondo che sarà mai una laurea, hai studiato e dunque è appena normale che ti laurei, e poi che voto hai preso? Come 99? Ma non potevi prendere almeno 100! Già già…
E così arrivo dunque alla porta di Arianna, con le mie paure, con l’ansia che mi tiene compagnia da prima del mattino fino a sera inoltrata, che mi fa passare da una attività all’altra per paura di dimenticare di farla, che mi fa modificare diverse volte una mail per paura di sbagliare, mi fa soppesare le singole parole, le virgole, i punti, e poi ancora me la fa rileggere alla ricerca di cosa posso aver dimenticato, e poi ma la fa modificare ancora, in preda a pensieri del tipo: ma cosa penserà di me il mio capo, e il capo progetto, mi diranno che sono poco professionale, che sono un incompetente, disattento, e come risponderò io? Come mi giustificherò io? E giù a farmi film come non si sono mai visti…insomma, il fardello cominciava ad essere pesantuccio, e inoltre mi intrigava capire perché mi stava accadendo tutto ciò, doveva esserci una spiegazione, una volta capita avrei risolto. Una volta note le leggi fisiche che governavano il fenomeno sarebbe bastato scrivere qualche equazione e con alcuni semplici passaggi algebrici che lasciamo al lettore, il problema sarebbe stato risolto. Invece no, ho scoperto che non funziona proprio così, anzi, proprio per niente, caro il mio ing.
Ed eccomi ai blocchi di partenza, nella classe Torino 2, quella della domenica, nello sfondo, un po’ intimorito dal contesto per me nuovo, con la mia sensazione di disabilità relazionale; poi a poco a poco mi permetto di mostrarmi, di integrarmi con il gruppo, vivendo le differenze di ognuno, ed affrontando con gli altri le mie dinamiche, aggiungendo via via fette di consapevolezza. Nel gruppo ho potuto sperimentare il mio timore di lavorare in pubblico, di dire la mia idea, non necessariamente uguale alle altre idee espresse e quindi potenzialmente “sbagliata”. Ma soprattutto il gruppo mi ha permesso di vivere in prima persona l’attraversamento della paura, l’agire anche in presenza di questa in modo da depotenziarla ed aggiungerle a fianco un set di esperienze che stanno lì a dimostrare che si può fare, che non succede nulla di grave, che è 2 permesso farlo. Il corso di counseling ha dunque aperto nuove finestre verso mondi sconosciuti, dove il capire ha lasciato il posto al sentire, dove l’altro, reo di tutti i miei malesseri in realtà mi somiglia molto, ha molto di me, più di quanto abbia mai potuto immaginare.
In questi anni è maturata la consapevolezza di non essere sempre e comunque in colpa, in difetto, quando una persona mi “accusa” di aver fatto o di aver detto cose, o magari di non averle fatte. Dopo l’iniziale tuffo al cuore, oddio cos’ho fatto!, si diradano le nubi rosso vergogna e riesco finalmente a vedere l’indefinito confine tra la mia responsabilità e quella dell’altro. Oltre alle mie intuisco le sue difficoltà e l’esistenza di proiezioni reciproche che nemmeno immaginavo potessero esistere. Certo non accade quasi mai tutto subito sul momento, ma sono passato dalla cecità alla visione, magari ancora sfocata, ma ora ho delle lenti da poter plasmare per poter vedere ancora meglio ciò che non immaginavo e integrare così le esperienze passate con nuove esperienze. Tutto ciò ora mi permette, dopo un diverbio, di riavvicinarmi con meno imbarazzo all’altro, e restare più serenamente in relazione con lui, e soprattutto mi permette di vivere il diverbio come un momento di confronto e crescita e non di rottura della relazione.
Nel contesto lavorativo, a poco a poco ho cominciato a permettermi di non fare sempre tutto, per vedere come ci sto lì, dentro a quella nuova situazione, e vedere se veramente arriva uno sciacquone da paura o se è solo un mio film. E allora l’obbligo di leggere tutte le mail che arrivano diventa una scelta, posso scegliere solo cosa è importante ed affrontare prima quello, posso aspettare che altri rispondano, posso semplicemente aspettare senza rispondere e constatare che chi mi chiedeva informazioni si è arrangiato diversamente, forse non aveva veramente bisogno di quelle informazioni oppure ancora se ne ha veramente bisogno mi può riscrivere o telefonare, insomma mi sono permesso di sperimentare tutto un mondo nuovo di possibilità oltre a quella del bambino che deve essere bravo per sopravvivere. In ultimo, ma non certo meno importante, c’è la consapevolezza che ciò che faccio è il meglio che posso fare in quel momento, in quel contesto, ed in ogni caso posso sbagliarmi, ne più ne meno di altri che magari non sono strutturati per ammettere di avere sbagliato…ma poi cos’è uno sbaglio??
Sempre nell’ambito lavorativo ho potuto constatare la minor pesantezza e fatica nell’esprimere ai collaboratori ed ai colleghi come certi loro comportamenti possano non essere esattamente in linea con le policy o i modelli aziendali e che a fronte di loro scelte ci saranno poi delle conseguenze, in termini di valutazioni e conseguentemente in termini economici. E ancora, oggi non aspetto più di sclerare completamente prima di comunicare ai superiori che un lavoro non riesco a finirlo, non nei tempi e nei modi che mi sono stati richiesti, che mi occorrono altre risorse o risorse con diverse competenze, che mi sveglio di notte con le preoccupazioni di come affrontare la mansione che mi è stata affibbiata e che in fondo non mi interessa, che voglio qualcosa di diverso e per me meno stressante. Tutto ciò mi ha permesso recentemente di intavolare una negoziazione che mi ha condotto all’attuale ruolo, più tecnico e meno manageriale, come piace a me, e che mi ha consentito di selezionarmi in prima persona dei nuovi collaboratori.
Allo stesso tempo, negli anni trascorsi come team leader ho potuto sperimentarmi nella conduzione di una squadra e nella gestione di alcuni progetti a tutto tondo, imparando tanto nell’ambito tecnico quanto in quello relazionale, ed ora con la consapevolezza maturata in questi anni posso scegliere cosa è buono per me, “cosa voglio fare da grande”. A latere di tutto ciò ho 3 incassato con piacere gli apprezzamenti di alcuni colleghi relativamente alla competenza ed alla professionalità dimostrata in passato nonché il loro rammarico sulla mia scelta di downshifting.
Quanto tempo è passato dall’inizio della mia carriera lavorativa, quando accusato ironicamente dai colleghi sulle mie limitate capacità professionali risposi seccamente che era passato troppo poco tempo per giudicarmi e che comunque in Italia c’erano solo cinque persone più brave di me a guidare un go kart su terra, e quindi era solo questione di tempo e sarei riuscito a fare quello che loro facevano da anni, e magari anche meglio. Nel momento in cui pronunciai quella frase ebbi immediatamente una percezione di pesantezza, di una gabbia attorno a me che avrebbe finito con lo stritolarmi, ma non ero assolutamente consapevole dei condizionamenti per cui io ero in quella prigione, quella dinamica per me era reale. Oggi talvolta mi capita di sorridere benevolmente a chi mi apostrofa perché ho eseguito un lavoro in un certo modo, tra me penso a quale dinamica sto scatenando in lui, quale suo bisogno sta cercando di soddisfare agendo in quel modo, allora provo a far presente le mie ragioni, con assertività, di fronte ad una eventuale chiusura accetto ciò che c’è, non ho la pretesa di cambiare il suo punto di vista, riguardo criticamente il mio operato alla luce delle sue affermazioni, talvolta imparo qualcosa di nuovo e spesso concludo semplicemente che la pensiamo in modo diverso, e va bene così. Il bianco e il nero hanno lasciato spazio alle infinite sfumature di grigio ed ai colori.
Durante il percorso in Artemisia ho avuto il piacere di incontrare una grande persona che ci ha insegnato con semplicità una chiave di volta verso la serenità interiore: la gratitudine per tutto ciò che c’è di buono e assolutamente gratuito nella propria vita, a cominciare dalla salute; occorre solo fermarsi e guardare in noi e attorno a noi, per vedere e sentire che tutto ciò che abbiamo non è assolutamente scontato ed è funzionale ringraziare la vita per questo. E’ funzionale per essere più felici.
Alla fine di questo percorso il lavoro che mi porto a casa è indubbiamente quello di estendere sempre più l’abilità di dissentire e dare limiti anche nel contesto amicale e sentimentale, dove la paura della rottura della relazione è più grande, ma con la consapevolezza che tutti siamo qui per soddisfare i nostri bisogni e non quelli degli altri, e se tale soddisfacimento è reciproco allora possiamo fare un pezzo di vita insieme, altrimenti ciccia!
Il lavoro di questi anni mi accorgo che ha anche modificato i dialoghi con gli amici, ora ho consapevolezza di quando agisco alla vecchia maniera, elargendo consigli come se fossero la soluzione migliore per loro, e da questa modalità evolvo verso un approccio più aperto e possibilista, invitandoli a pensare cosa è meglio per loro, offrendo ciò che lo sarebbe per me solo come spunto.
Mentre scrivo queste righe rifletto ancora sul motivo della resistenza a vivere completamente il mio tirocinio e conseguire il diploma. La ragione ufficiale sempre sostenuta a me stesso e agli altri è che io ho frequentato il corso per soddisfare il mio bisogno di crescita e benessere personale e non per esercitare la professione. Scavando un po’ emerge il timore di dimenticare quanto visto uscendo dall’ambiente di Artemisia, un ambiente protetto in cui aprirsi, per mostrare le proprie difficoltà e per permettersi di vivere il nuovo, dove il gruppo è stata una bella palestra per allenarsi e per toccare con mano come nella diversità di ognuno ci sia una grande opportunità di crescita 4 per tutti ed allo stesso tempo come l’altro non sia così diverso da noi e noi non siamo così soli nelle nostre difficoltà. In ultimo come non vedere la mia pigrizia e il mio timore di agire fino in fondo il cambiamento, del resto è più facile restare nella palude che si conosce bene, anche se ci si sta male, piuttosto che avventurarsi nel nuovo, con la fatica che ciò comporta.
Allora ho dapprima lasciato fare al destino, alla vita, cercando timidamente di mettermi nella condizione affinché la vita scegliesse per me, e così è stato, e affrontando i primi veri colloqui con persone esterne alla scuola ho scoperto quanto ancora si può imparare anche per sé, vivendo in più il piacere di aiutare altre persone…così anche l’ego narcisista ha la sua parte, e che diamine!
Vorrei ancora condividere con voi ciò che mi è accaduto verso la fine di questo percorso: durante alcune settimane ho potuto sperimentare e sentire qualcosa che andava oltre le dinamiche relazionali conosciute, qualcosa che si manifestava con un’intuizione, che andava e veniva direttamente dal cuore, che faceva accadere le cose con naturalezza, che lasciava intuire di essere in connessione con gli altri non solo con le parole, che rendeva tutto più facile. E’ stata un’esperienza totalmente nuova, piena, gioiosa. Ho scoperto che vivendo con un atteggiamento mentale diverso la vita può cambiare, e ciò di cui ho bisogno in quel momento può presentarsi davanti con naturalezza. Ricordo un giorno di corsa tra i miei impegni, con un po’ d’ansia apro gli appunti e trovo al volo l’idea che mi serviva per il colloquio con una cliente. Io in quel momento ho accettato la difficoltà che stavo vivendo, non ero lì a ripetermi come farò a farcela, avevo semplicemente fiducia nella vita, e la soluzione è apparsa.
Anche lo stare insieme agli altri era più spontaneo, ero libero dai miei condizionamenti, ero veramente io. Sarà un caso? Ma in quel periodo di casi ce ne sono stati più di uno, e allora forse anche stavolta non è un caso, forse c’è dell’altro, forse c’è un altro modo di comunicare con i propri simili, di trovarsi, come ad esempio mi è capitato recentemente in uno studio medico, mentre transitavo nel corridoio accompagnato dalla segretaria con la coda dell’occhio vedo una persona che esce da una stanza alle mie spalle ed ho la netta sensazione che sia il dentista che mi ha curato in passato, mi volto, in abiti civili e senza mascherina e cuffia non lo riconosco ma lui si, mi saluta, era proprio lui, ma in quello studio ci sono molte altre persone…
Come dicevo quella esperienza è durata intensamente e pienamente alcune settimane, poi è scemata, poi è tornata, meno intensa, ma l’esperienza c’è stata e dunque esiste, e quindi può tornare ancora, poiché la vita non è altro che un’onda di energia, il cambiamento ormai è in atto e indietro non si torna. Il percorso è tracciato, la cassetta degli attrezzi c’è, non resta che tirarsi su le maniche e lavorare, perché il cambiamento è una scelta che richiede impegno. A tutte le persone che hanno condiviso con me questo cammino va la mia immensa gratitudine, grazie per avermi permesso di crescere e di smuovermi dalla mia palude. Grazie Arianna.
M.B.