Istituto Artemisia

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Tesi di Diploma Artemisia – di F.L.

Sedute in auto, ferme fuori dal cancello di casa, mia madre mi ha chiesto:
“E se la vostra storia finisse?“
“Non succederà. Ci siamo cercate fino ad ora. Lei mi chiede il permesso ogni volta che entra nella mia vita, lei mi guarda dormire.“, avrei dovuto dire.

Invece non ho risposto niente, facendole credere potesse essere una possibilità.
Ha continuato: “Si pensa sempre che un amore sia per sempre, poi…” “Non è vero!”

“Vuoi dire che con Luca pensavi sarebbe finita?”
“Si “
“E ci hai fatto comunque due figli?“
Nelle conversazioni con lei arriva sempre il momento del giudizio. “Per tutti i dodici anni non ho fatto altro che pensare a come liberarmi di lui. Dal primo giorno.“

E invece sono stata zitta ancora una volta.
Alimento la pessima opinione che lei ha di me, me ne rendo conto, ma non mi interessa più dimostrare. Forse avere approvazione sì, ma intanto non scopro il fianco, ha affondato la lama fin troppe volte.
Perchè in dodici anni non l’ho lasciato? Per paura.

Ed oggi comprendo che vale come risposta. Ho avuto paura per dodici anni, e allora? E perche’ ho avuto bisogno di dodici anni per elaborare il mio lutto.
Quella persona non mi avrebbe mai dato ciò che volevo e voglio da una relazione.
Il mio sogno si allontanava ed io piangevo. Per le umiliazioni continue, per la mancanza di rispetto, per la situazione in cui avevo messo i miei bambini. Per le botte no.
Vivere con un alcolista ti annulla, non hai più prospettiva, non vedi progetti. Pensi solo alla giornata che stai vivendo.
E purtroppo non si tratta di “qui e ora”, di godere del momento presente, ma di stare attente che quella giornata non ti lasci troppi segni. E resti congelata anni.

Ho imparato che ognuno ha il proprio tempo di scongelamento, che i “e avessi fatto, se avessi detto” fanno un gran male alla parte di noi che ha bisogno di conforto e carezze.

“Scusa, ma se lui era così, perchè non l’hai lasciato prima?”
Prima cerchi di giustificarti, poi inizi a scappare da chi ti fa domande come questa. Io, un giorno, mi sono ritrovata a pensare che ero felice per quella persona che mi poneva una domanda tanto stupida. Ero felice per lei perche’ non sapeva, non conosceva l’impotenza e l’annullamento dell’autostima.
Ho iniziato a scongelarmi approcciandomi al corso di counseling relazionale.
HO FATTO QUELLO CHE HO POTUTO CON I MEZZI CHE AVEVO NELLA SITUAZIONE IN CUI MI TROVAVO.
Ho dato il meglio che sono riuscita a dare.
Questo concetto mi ha fatto vedere che ero un super eroe per quello che avevo affrontato fino ad allora. Ho visto una Federica che era stata anche forte e determinata. Si trattava di dirigere altrove quella forza e quella determinazione.

Teresa: ”Ho paura mi faccia male. Una sera mi ha spinta così forte che sono caduta dalle scale. Mi chiudo in camera di notte e certe volte lui batte sulla porta per ore“. Era partito il mio tirocinio alla Case delle Donne. E quelle donne mi facevano da specchio. Teresa è stata il mio specchio.

“Mi accusa di tutto, di ogni minima cosa. Aspetto in ansia l’ora in cui di solito torna a casa: lo capisco da uno sguardo se ha bevuto o no. E se ha bevuto cerco di non farmi notare, sto zitta, anche se mi attacca. Poi, da sola in camera, piango. Io volevo di più per me. Come posso aver commesso un errore tanto grande?”

Quello è il lutto del sogno. E’ da qui che si riparte. Quando, non si sa. Possono passare giorni o decenni, ma ognuno ha il suo punto di non ritorno. Ed è meraviglioso assistere a quel preciso momento. Teresa mi ha regalato il suo. Ed io l’ho regalato a me stessa.

La strada è tutta in salita, ma l’energia che hai dentro ti manda lontano.

Comprendere di poter allontanare dalla propria vita ciò che non va bene per noi è tanto. Farlo, ancora di più.

Ho lottato, urlato, difeso, graffiato, subito minacce. Ho detto verità ai miei figli, perchè l’alcool non è un raffreddore, non si può far finta di niente e poi passa; perchè quell’odore non entrasse nella memoria di mia figlia e lo scambiasse, un giorno, per amore.

Ho visto il padre di quei figli uscire di casa con una brandina senza conoscere altro che il monolocale in cui sarebbe andato. E l’ho anche visto con la morte al posto del volto in un letto di una rianimazione qualunque per non aver imparato niente dall’aver perso tutto.

Un’altra cosa ho sempre visto durante quell’anno: me stessa.
Ho guardato ogni volta in faccia il rischio della confluenza. Ho imparato che dire “E’ successo anche a me“ non è funzionale alla persona che crede di avere un dolore unico. Quel dolore è unico. Va rispettato, non generalizzato. Va protetto, visto, affrontato e solo poi, quando è il momento, superato.

Aiuto donne vittime di violenza in ogni sua tremenda espressione e posso dire che oltre alla consapevolezza c’è sempre la possibilità di indipendenza che manca.
“Cosa ti aiuterebbe a superare questo momento?” “UN LAVORO”.
E resta qui la mia impotenza, la mia frustrazione.
Voglio fondi per un’impresa che fa guadagnare le donne che sanno da cosa vogliono stare lontano, che sanno cosa vuol dire indipendenza, sogno un sistema che dia a loro e a noi una seconda possibilità.
Angela, un giorno, mi ha detto: “Vorrei far vedere a mia figlia che si possono voltare le spalle alle cose sbagliate”. Rendiamolo possibile. Con l’ascolto, con il sostegno.