VOCE SOVRANA
PERCHÉ LA VOCE È IL DIRITTO AL TUO POSTO NEL MONDO
Io da piccola ero due.
Così, mi rendo conto, vuol dire un po’ poco.
E allora mi spiego meglio.
Ma io, da piccola ero davvero due!
Da una parte, ero quella che sarei diventata. Quella che oggi guardo allo specchio…fiera.
Ero leader, giusta e ascoltata.
Ero caparbia e condottiera.
Selvatica come direbbe Clarissa Pinkola Estes.
Sentivo la mia musica interiore e sceglievo il mio posto in base a quella.
E funzionava!
Funzionava benissimo!
Ma poi allo scoccare dell’ora casalinga, la mia donnina selvatica chiudeva la porta; si ritirava sotto lo sterno e fino nei meandri dello stomaco e da me, non usciva nient’altro che una vocina scarna – quasi stridula – che di rado si concedeva il lusso di pronunciare un No.
Col tempo, quella voce in falsetto ha segnato le mie corde vocali, che, in preda ad un atto di ribellione, si sono poi aggrovigliate in nodi (due) ben saldi; quasi a voler urlare “se non possiamo dire la nostra, non diremo nulla!”
Ci sono voluti anni di grande lavoro e allenamento – fisico e non – per far corrispondere la musica del mio essere con il suono della mia vera voce.
Oggi ho una voce.
Oggi occupo il posto che ho scelto e che mi spetta di diritto: io!
Ora, immaginate il mio stupore quando, per la prima volta, vidi il film IL DISCORSO DEL RE.
Che questo sia un film di una carica emozionale disarmante, credo siamo d’accordo tutti!
Così come maestrale è stata la scelta delle musiche che enfatizzano egregiamente il conflitto interiore del protagonista, e di inquadrature e dialoghi altrettanto intensi.
Ma, questa è la storia di un re che ha definito il suo posto (sul trono) attraverso la scoperta della sua voce.
E il fatto che sia vera, la rende ancora più appassionante!
Sbam! che colpo!
I miei pensieri, che allora galoppavano veloci, si inchiodarono… davanti al film;
tutti convogliati in un’unica illuminazione: “io come un Sovrano”
Io come Giorgio VI non facevo uscire la mia voce
Io come Giorgio VI non mi autorizzavo il mio posto del mondo
E allora, che diamine!
Io come un Sovrano (di me stessa) avrei conquistato il mio potere!
GIORGIO VI: LA STORIA DI UN PERCORSO DI COACHING
La storia, vera, della voce di Giorgio VI è un bellissimo esempio di relazione di coaching.
Ma prima di indagare su questa, ci sono un paio di riflessioni che vorrei mettere in luce:
- il contesto storico: guerra in e guerra out
Siamo al preludio della Seconda Guerra Mondiale.
Al dolore della morte di un padre, si sommano il peso emotivo di una probabile e temuta successione al trono e la gravità di unnemico come Adolf Hitler: uomo di fortissima personalità comunicativa e nocivamente impattante sulle menti di molti.
Dall’altra parte troviamo il protagonista e futuro re, che non è ancora conscio e sicuro del suo potenziale, e che rifugge inizialmente i suoi doveri, attraversando non pochi momenti di sconforto.
Ed è molto interessante, questa contrapposizione, non tanto tra i due uomini quanto piuttosto tra la guerra interiore e la guerra esterna armata, quasi a lasciar trapelare un messaggio sotteso:
è possibile affrontare le problematiche esterne solo laddove le ombre interiori siano state smascherate e rielaborate.
- il viaggio dell’eroe
l’obiettivo che il protagonista Bertie si pone, viene raggiunto attraverso un percorso che lo porterà alla piena coscienza di sé.
Bertie diventa, dunque, l’Eroe di sé stesso.
Campbell nel suo “L’eroe dai mille volti” indica alcune tappe del percorso di crescita/realizzazione dell’Eroe:
* chiamata
* rifiuto stesso della chiamata
* individuazione di un mentore
* varco di una prima soglia
* avversità, prove, lotte intestine e attacchi esterni
* rivelazione e la trasformazione (morte del vecchio essere e ri-nascita)
e un occhio attento potrà identificare queste tappe in alcuni momenti cruciali della vita del nostro protagonista.
La chiamata, più o meno consapevole, coincide con il dover affrontare la sua balbuzie.
Non siamo però, ancora nel tema della volontà e in questo momento, fortemente sfiduciato, fanno presa su di lui tutte quelle credenze depotenzianti e gli schemi mentali che lo portano a rifiutare non solo l’aiuto di qualcuno, ma anche l’idea stessa di riuscire.
Solo grazie ad una moglie alleata e sostenente e, ancora di più, del mentore/guida Lionel, professionista dai metodi poco ortodossi, che Bertie supera la prima soglia: ascoltando la sua voce registrata, infatti, prende coraggio e comincia ad intravedere il suo potenziale.
Particolarmente interessante è stata in questo caso la scelta, da parte di Lionel, degli strumenti da utilizzare:
significativo il monologo “Essere o non essere” che diventa uno specchio per il protagonista.
Lo stesso Amleto è, difatti, in conflitto dentro di sé tra il sopperire ai doveri imposti dal suo ruolo, o al contrario far emergere il proprio essere.
Ed ancora più stupefacente l’accompagnamento musicale scelto: Mozart “L’Overture” de Le nozze di Figaro
Brano potente e incalzante, tanto da distrarre il lettore dalla sua ansia di prestazione, che quindi riuscirà a leggere senza balbettare;
ma allo stesso tempo, brano dissacrante tanto da iniziare a rompere gli schemi formali di una relazione tra persona/personaggio (Bertie/Re) e il professionista.
Troviamo qui un eccellente esempio di pensiero creativo e di utilizzo di strumenti in una maniera incisiva ed efficace.
Fatte queste riflessioni, porrei ora l’attenzione su alcuni elementi tipici del percorso di Coaching e sulla RELAZIONE COACH – COACHEE.
Rischiando di aizzare folle di professionisti contro di me, oserei dire che Lionel Logue potrebbe essere definito il primo Business Coach della storia moderna!
Grazie al suo supporto professionale, un uomo ha scoperto la sua voce, il suo posto ed è ri-nato RE.
Lionel definisce con fermezza alcuni punti in merito al suo lavoro.
Punti che esattamente anche nella professione del Coach sono fondamentali e determinanti.
Innanzitutto, il contratto: “mio il castello, mie le regole”
In secondo luogo, la volontà: “curerò chiunque vorrà farsi curare”
Prenderà in carico il futuro Re, solo quando lui e lui solo sceglierà di cominciare il suo percorso.
Infine, l’assunzione della responsabilità da parte del cliente: “siete disposto a fare la vostra parte?”
Procedendo nel film, troviamo un’ulteriore richiesta del mentore, necessaria anche questa nella relazione di coaching: essere sullo stesso livello, in un rapporto paritario, che definiremmo “io sono ok – tu sei ok”
Tale richiesta è rafforzata dall’utilizzo informale dei nomi propri, nonostante i ruoli sociali dei due siano nettamente differenti.
Attraverso questa tecnica, Lionel chiede indirettamente a Bertie di portare, durante gli incontri, la persona e non il personaggio/ruolo e di creare, quindi, un’alleanza terapeutica fatta di fiducia, affidamento e stima reciproca.
Definiti questi aspetti in una sorta di sessione zero, anche gli strumenti utilizzati successivamente, trovano una giusta collocazione nelle odierne sessioni di coaching.
E così Lionel magistralmente dà il via ad una serie di domande efficaci e ben collocate che conducono Bertie in un mirabile allenamento/danza – più volte messa in scena fisicamente dal nostro futuro eroe, ma anche dalle mani del suo mentore che lo guida quasi fosse un direttore d’orchestra –
Che grande creatore di movimento questo Logue!
Ancora, in un chiaro esempio di dinamica a spirale ritroviamo un’apertura emotiva di Bertie, che scende nel suo profondo, quando si trova davanti ad un modellino di aeroplano.
Agganciando il passato, con un gioco negato dal padre, Bertie prende coscienza del legame tra mortificazioni subite da bambino e il suo attuale problema di linguaggio.
Numerosi gli abusi emotivi che emergono e che fanno sentire il protagonista inadeguato: alle derisioni del fratello, alle imposizioni autoritarie del padre e addirittura alla crudeltà di una tata, si aggiungono le correzioni fisiche di “errori della natura”: gambe ad X e mancinismo.
È questo un momento delicato e cruciale per la svolta interiore del protagonista, ma il mentore commette un errore su cui mi vorrei soffermare.
Un bravo coach non solo capisce fino a dove può arrivare il suo coachee in quel dato momento (e quindi fin dove può spingere il lavoro), ma in più, non si sostituisce a lui e mette a tacere la sua propria volontà per far emergere invece quella del suo cliente!
Nel film così non accade.
Lionel spinge troppo sull’emozione di Bertie, non rispettando i suoi tempi.
E invece di far scattare un coraggio epico, si arriva ad una rottura quasi inevitabile tra i due, in cui il protagonista ripiomba nell’auto-sabotaggio del proprio essere.
Il suo posto è nuovamente il risultato della definizione degli altri: figlio di un re, fratello di un re.
Torna il senso di impotenza e il “non diritto” al trono, che qui simboleggi il Potere di Sé.
IO HO UNA VOCE: la nascita dell’Eroe
Ma una volta iniziato il viaggio, il nostro protagonista (coachee) è ormai sempre più consapevole di avere delle capacità.
Comincia a riconoscerle e a desiderare il suo obiettivo.
Bertie si trova ora al confine tra territorio della Disistima di sé, in cui minano Ego, paura e Interferenze esterne e il nuovo territorio del Sè.
Il protagonista deve quindi spezzare il suo auto-incantesimo e superare la sua ultima crisi di autogoverno.
Un coach sostenente è ora sicuramente rilevante!
https://www.youtube.com/watch?v=-Ipczt0Pe5I&feature=youtu.be
Dalla scena appena vista, notiamo:
- Tentativo di scarico della responsabilità e quindi della colpa (su Lionel)
- Totale sfiducia di sé e demotivazione
- Giudizio e identificazione in altro fuori da sé e generalizzazione
- Dramma e frustrazione, previsione di un inevitabile fallimento
e poi finalmente la rottura e la rivelazione di Sé:
“HO DIRITTO DI ESSERE SENTITO
IO HO UNA VOCE”
Il resto è storia.
Bertie incoronato re, con il nome di Giorgio VI, non solo conquista LA SUA VOCE, ma la piena fiducia di sé, e si concede il pieno diritto a salire al trono – IL SUO POSTO –
Viene, ricordato ancora oggi, non solo per le grandi doti umane, politiche e sociali, ma anche per i suoi tanti discorsi in pubblico che tennero uniti e saldi un intero popolo in tempo di Guerra.
Fu amato e acclamato con orgoglio dai suoi sudditi!
Il POSTO DELL’EROE
E poi, all’alba del giorno prima,
semplicemente smetti.
Smetti di resistere,
smetti di negare
e smetti soprattutto di strattonarti.
Cercavi un posto.
E il posto sei tu
Niente più difese, giudizi, e sogni distanti.
E ti trovi faccia a faccia con il mare.
Il respiro si apre,
il sorriso riappare,
l’amaro rimane… ma fiancheggia il possibile.
E così metti in campo l’unica arma davvero efficace, non per lottare, ma solo per essere: la natura che sei.
Riconosci la tua forma, la ascolti, la disegni
e tutto, piano, arriva
Arriva il vederti vera e finalmente in atto
Arriva la carogna, quella bella, quella ti fa allenare, sudare, faticare ma soprattutto avanzare.
Arriva una antica passione per lo yoga,
che chissà da dove arriva…
ma che ti riporta a “casa”, stabile e ti accarezza i pensieri.
E arriva poi, (scherzo del destino), un ometto bianco,
che tu chiami Tiziano perché ti ricorda tanto quel grande Terzani
che è stato il diverso bestemmiato, ma l’uguale a sé stesso.
E ci chiacchieri di ceramica, di scultura e di storia… e ti spiega delle resine, dei materiali e di come lavorarli
E che con cadenza quasi serrata ti ripete “c’è sotto un messaggio”
e tu… tu arricchisci il tuo tesoro.
E sei entusiasta e carica di vita.
Il cervello si inebria,
comincia a creare
ed è esattamente in quell’istante che scopri
di essere davvero nel tuo posto giusto: TU