“Non so che una cosa: che non so nulla “
Questa frase è stata proposta il primo giorno di corso, frase incontrata per la prima volta all’età di 16 anni: III superiore, prima lezione di filosofia. All’epoca l’avevo diligentemente studiata ma mai realmente capita. Un anno dopo, verso la fine della IV, mi avvicinai al mio professore di filosofia e gli dissi “E’ così frustrante, più studio, più mi rendo conto che so così poco!” e lui, sorridendo, rispose “Ora hai capito Socrate”. Questo grande affronto alla mia adolescenziale saccenza mi aveva inizialmente irritato, ma ben presto, arrivò una rinnovata gioia verso il non conosciuto che dovevo fare mio.
Così, gli anni a venire furono anni di fervente scoperta. Vita esperita con fame atavica, vita vissuta: lavoro, arti perfomartive, corsi di ogni tipo, amici, relazioni sentimentali e sessuali, volontariato, viaggi e ancora studio.
Qualche anno fa, tutto questo cibo mi ha dato una brutta indigestione: un esaurimento nervoso. Così, in questi ultimi anni, sono passata dal “fare” all'”essere”: ho imparato a rallentare, a meditare, ho imparato a stare nelle piccole cose e sono entrata nel 2020 matura quel poco per non impazzire a causa delle limitazioni che hanno trasformato il mio quotidiano.
Ed ecco che a settembre inizio questo corso, ed ecco nuovamente la frase. “Ah certo, iniziamo da Socrate, poi sicuramente si andrà a parlare di maieutica, ovvio”, così la vocina dell’adolescente saccente mi risuona dentro, io la zittisco e provo a non giocare a capire il perchè delle cose, ma solo ad ascoltare.
Non colgo subito, ma tutto di improvviso: ognuno è figlio del proprio codice genetico e della propria esperienza, quindi la mappa non è il territorio e dunque ognuno espera il mondo a suo modo; concetto anch’esso non nuovo, ma mai realmente compreso.
In questo mio breve percorso di vita ho capito alcune cose che però riguardano esclusivamente la mia personale esperienza. L’amore nel dare consigli, nel cercare con vigore di portare i miei allievi ad abbandonare certe dinamiche violente, il mio sottile piacere da onnipotente quando gli allievi dicono “Senza di lei non ce l’avrei mai fatta” e quel senso di impotenza devastante quando invece noto che le dinamiche disfunzionali su cui lavoro non si risolvono: che cos’è tutto questo se non imporre il mio punto di vista, che cos’è se non la parte saccente che crede di aver trovato la ricetta della felicità e si prodiga come un saltinbanco medievale per venderla a tutti?
Ovviamente alla base non c’è cattiveria, ma in questo percorso ho impararato anche a scindere le azioni in efficaci e inefficaci, più che in buone e cattive; e, nello specifico, questo atteggiamento è inefficace.
Questa consapevolezza mi ha subito portato a riflettere sui miei metodi di insegnamento, su come mi pongo con i pari e con me stessa; e così ho iniziato un incredibile viaggio che finalmente mi sta liberando da quel senso di impotenza che mi portavo dentro costantemente: “L’allievo non riesce, è mia responsabilità”, “La classe non riesce, è mia responsabilità”, “Il teatro muore, è responsabilità degli attori, e quindi è mia responsabilità”, “In Italia siamo più analfabeti che laureati, è responsabilità della scuola, dunque è mia responsabilità”. Personalizzazione, così la definisce Seligman nel suo “Imparare l’ottimismo“e, infatti, malgrado dal test sia risultata una fervida ottimista nell’ambito della persistenza e della permanenza, nella terza parte ecco che usciva la mia abitudine a personalizzare tutto, nel bene e nel male. “Ognuno nella relazione mette il proprio 50%”, questa frase ho iniziato a ripetermela spesso, quasi quotidianamente, e la leggerezza che deriva da essa è incredibile.
Insieme alla leggerezza ho iniziato a creare piccole modifiche mentre insegno: da sempre sono convinta che l’aspetto maieutico sia alla base dell’insegnamento, ma spesso cercavo scorciatoie; ora sto sperimentando veramente un lavoro basato sulla consapevolezza dell’allievo. Questo atteggiamento li rende partecipi e responsabili, consapevoli di quale sia il loro pezzo e quale il mio, questo è il segreto per creare reale autonomia, che, alla fine, è il sogno di ogni insegnante. In poche parole questo nuovo metodo può esser esemplificato con le considerazioni di Gallwey in “The inner Game of Tennis“che qui parafraso: meno lodi, meno critiche ma semplice presa di coscienza.
Tali riflessioni non hanno solo modificato il mio approccio all’insegnamento, ma mi hanno portato ad una attenta analisi sulle dinamiche che ho con me stessa. Io possiedo un Sè 1 (nonchè il Sè giudicante) sempre sveglio e pronto a scuotere la testa con dissenso quando non porto a termine un compito come lui vorrebbe. Abbandonare questa parte è difficile perchè è stata mia per 30 anni e a suo modo mi ha permesso di raggiungere obiettivi nei più svariati ambiti.
“Se non c’è enorme senso del sacrificio e critica, che cosa può muovere il mio atto volitivo?”.
La tenacia è sempre stato il mio punto di forza, se a molti bambini viene detto “Ha un ottimo potenziale, ma non si applica” (“Se solo si spiegasse ad alcune maestre che anche la volontà va allenata!”) la mia descrizione era “Ha molte difficoltà, ma ha una forza di volontà incredibile”.
Questo è stato il mio motore fin da piccolina, un breve aneddoto esplicativo: quando avevo tre anni ho deciso di iscrivermi a danza classica malgrado la mia disprassia e qualche kg di troppo e ho deciso a quattro che avrei mollato solo una volta raggiunto il gruppo avanzato: mi ci sono voluti nove anni, ma ce l’ho fatta!
Ricordi a parte, torniamo al quesito: “Se non c’è enorme senso del sacrificio e critica, che cosa può muovere il mio atto volitivo?”
Da lì sono partita alla scoperta delle mie subpersonalità come le definisce Roberto Assagioli in “Psicosintesi“, un viaggio molto affascinante: ho dialogato a lungo con le mie parti, ho visitato bene il mio condominio, ho fatto anche una serie di riunioni tutti insieme, anche se alcune parti sono un pò testarde e poco inclini al confronto. Le ho sedute tutte attorno a me e ho posto loro la domanda:
SE’: Miei condomini, ho deciso che Bardi la giudicante, dopo anni di ottimo servizio, ha bisogno di riposarsi, non ti sto mandando via, ma semplicemente ho bisogno che ti prendi una pausa, desidero capire se il condominio può andare avanti anche senza di te.
BARDI LA GIUDICANTE: Tanto non riuscirete a stare senza di me, senza di me sei solo una gran pigra che molla tutto a metà, se il condominio sta in piedi ed è anche un bel condominio è solo grazie a me!”
FRANCI LA BIMBA: Che bello!!! Io Io Io! Io sono super curiosa! Ho così voglia di esserti di aiuto! Scopriremo mille cose e ne faremo mille!! Dai dai dai! Scegli me! Oh Oh, però ho un pò paura, mi tieni per mano?
FRA SELVAGGIA: Se lo distruggiamo il condominio? Rifacciamolo tutto da capo! E’ inutile fare piccole modifiche! Bisogna rivoluzionare tutto! TUTTO!
BUDDI BUDDHA: Selvaggia, non credo che sia necessario distruggere, il condominio è in ottimo stato, e soprattutto qualsiasi miglioria deve esser tale: non serve modificare le fondamenta, ma trovare il modo di splendere di luce nuova.
FRANZ LA PRATICA: Mettiamo degli specchi!
BUDDI BUDDHA: Io parlavo di un altro genere di luce!
…non mi dilungo ulteriormente in questo viaggio nella mia testa, ma dopo lunghi dibattiti ho iniziato a cogliere le sfumature delle varie parti di me, ho finalmente compreso che ogni parte, anche quella più spinosa, ha in potenza delle virtù e se do loro l’occasione di svilupparle mi saranno di incredibile aiuto in ogni ambito della vita.
Ed ecco che il mio viaggio di scoperta si conclude proprio qui, attorno agli ambiti della vita. Lavorando con la ruota della vita mi sono accorta di come ogni piano sia intimamente collegato. Se penso proprio a questo corso-percorso per diventare coach, noto subito come un impulso di natura prettamente professionale sia andato a sfociare in un ambito personale. Il corso che ho svolto mi ha dato strumenti utili affinchè io possa svolgere la professione, ma, a ben vedere, mi ha arricchito di strumenti anche per il mio quotidiano; e così sarà anche nella professione: ad ogni cliente che mi troverò davanti, l’arricchimento sarà sempre reciproco.
Come una ruota torniamo così alla maieutica: il mio compito è essere nutrice, aiutare a far uscire e questo processo porta in automatico una ricchezza nuova ogni volta, ed infine dunque “Io so di non sapere” e tale consapevolezza è liberatoria, arricchente e ricca di possibili strade che si delineano davanti, senza timori nè riserve.