Istituto Artemisia

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L’autrice: Lauretta Borsero, counselor recentemente diplomata presso la scuola di counseling Artemisia, nel corso della preparazione all’esame ha redatto una sintesi del libro “La psicologia dei gruppi di lavoro” di Daniele Malaguti che riteniamo possa essere una lettura interessante e utile in particolare  per chi, nell’esercizio del counseling o di altra professione, si rivolge a un lavoro di gruppo o deve comunque gestire situazioni a tale livello.

Oggi lavorare implica sempre più interagire con macchine, informazioni e cose e sempre meno eseguire una prestazione individuale: da qui l’importanza crescente del gruppo per gestire tali interazioni, di cui Malaguti analizza i vari fattori che ne influenzano la costruzione e l’efficacia.

La dimensione sociale del lavoro venne individuata dagli studi sulla produttività di Majo alla General  Electric a inizio secolo scorso, che misero in evidenza come non sia solo il salario a soddisfare i  bisogni del lavoratore e non unicamente a livello di prestazione individuale, ma che si debba tenere conto anche del gruppo in cui il lavoratore è inserito, in termini anche  emotivi e psicosociali, per soddisfare al meglio gli obiettivi aziendali. Le aziende oggi diventano sempre più orizzontali e da produttori di beni materiali diventano produttori di conoscenza attraverso la condivisione delle informazioni, dove il gruppo diventa strumento centrale.

Il gruppo di lavoro

Il gruppo di lavoro è formale (costituito dall’organizzazione) e necessita del senso di appartenenza e del riconoscimento esterno che non sono automatici come nei gruppi informali (spontanei), ma vanno costruiti attraverso dinamiche e processi, partendo dall’analisi delle strutture e della loro evoluzione nel tempo. Rilevanti a tale fine sono le reti di comunicazione (come la comunicazione passa all’interno del gruppo: a ruota, a catena,..) e l’esercizio del potere (ricompensa, esempio, legittimo, di competenza,..). Un altro elemento è il ruolo (l’aspettativa di comportamento legata alla posizione), che nei ruoli emergenti nel gruppo (quelli  non prescritti dall’organizzazione e che vi  si vanno formando) può essere orientato al compito, al mantenimento di un buon clima, individualistico o di ostruzione. Un ulteriore elemento è costituito dalle norme che il gruppo si dà per il raggiungimento degli obiettivi e l’identificazione e mantenimento del gruppo. Le norme formano la cultura del gruppo, cioè le modalità di relazione tra i membri del gruppo ritenute corrette per il raggiungimento degli obiettivi. Sono cioè le linee-guida per gestire il gruppo, che tiene conto non solo dei saperi dei membri ma anche delle loro esperienze dando origine ad una conoscenza più ampia che non è solo la somma delle conoscenze presenti.

La gestione dei conflitti

Nei gruppi sono presenti facilmente i conflitti, che nascono in quanto c’è disaccordo tra i suoi membri : tra obiettivi singoli e di gruppo; sull’esercizio del potere, sulle competenze/risorse, su un diverso modo di percepire una situazione o un altro membro o se stessi, sul mancato riconoscimento di sentimenti ed emozioni (scatena rabbia e frustrazione) e sui bisogni individuali  a livello ancora più profondo. Per superarlo ci sono delle strategie, che sovente si basano sulle teorie dei giochi “vinci/perdi”, cioè giochi a somma zero, che  possono diventare distruttivi del clima del gruppo. Il conflitto può anche essere positivo se consente di vagliare alternative più ampie nel ricercare una soluzione efficace, ma in tal caso il conflitto deve essere focalizzato sul’obiettivo;  se il conflitto è centrato sulle relazioni tra le persone e non sul problema, le ricadute sulle persone possono essere molto pesanti e rendere il gruppo poco efficace per la realizzazione degli obiettivi dell’organizzazione. Per la gestione dei conflitti sono state messe a punto delle strategie di “negoziazione del conflitto”, attraverso un meccanismo vinci/vinci che individua alcune fasi: separare la persona dal problema; concentrarsi sugli interessi condivisi da entrambe le parti; sviluppare alternative diverse per la soluzione del problema; valutarle con criteri oggettivi; provare e riprovare. Il conflitto procede per escalation e occorre pertanto ripristinare la relazione, ricostruire la fiducia, passare da un conflitto competitivo a uno cooperativo ripercorrendo all’inverso il percorso dell’escalation per riportare il conflitto dalla fase di aggressione a quello di divergenza sugli obiettivi (descalation).

La figura del leader

Nel gruppo è importante la presenza di un leader, che è in grado di svolgere una funzione di leadership che fa sì che i membri di un gruppo lascino momentaneamente  da parte i propri obiettivi individuali e  accettino quelli del gruppo (motivandoli, cioè facendo coincidere soddisfazione dei bisogni individuali con quelli di gruppo).  È una forma di influenza in grado di determinare un consenso volontario, che non dipende dalla posizione aziendale del leader ma dalla sua capacità di influenzare il comportamento soggettivo. Due fattori base nel comportamento del leader sono: la considerazione nei confronti dei membri (disponibilità, aiuto, curare le relazioni,..) e la creazione di una struttura attraverso la definizione di regole di comportamento del gruppo (procedure, standard produttivi,..) Si possono distinguere 5 stili di leadership:

  1. stile team (alto interesse del leader per le persone e alto interesse per la produzione,con  buoni risultati e buon clima)
  2. stile orientato al compito (alto interesse per la produzione e basso interesse per le persone, buoni risultati ma scarsa considerazione per il fattore umano)
  3. stile ricreativo (alto interesse per le persone, ma basso interesse per la produzione, con produttività bassa e alta soddisfazione dei membri)
  4. stile “povero” o del “laissez faire” (basso interesse sia per le persone che per la produzione: risultati mediocri e il leader cerca di evitare i problemi)
  5. stile a metà strada: non trascura gli obiettivi e nemmeno le persone.

Lo stile più efficace è quello del team ma non sempre la situazione è chiara: dove la gestione è per obiettivi  o per progetti, può essere migliore una leadership orientata al compito oppure in presenza di compiti semplici; mentre il team è utile se i compiti del gruppo sono più elevati.

Un altro elemento da considerare per l’efficacia del lavoro di gruppo è la composizione del gruppo stesso, cioè i suoi membri e le loro caratteristiche, in quanto il leader adatterà il suo stile di leadership anche in funzione di tali caratteristiche attraverso la quantità di guida (orientamento al compito); la quantità di supporto emotivo (orientamento alla relazione); il grado di maturità dei subordinati (la responsabilità assunta nello svolgere il compito affidato che tiene conto dell’aspetto psicologico e della motivazione, oltre alle capacità dei membri).

Come si diventa Leader

 Leader si nasce, ma si può anche diventarlo, attraverso un processo basato sulla relazione e il mutuo scambio tra il leader e i membri. Tale processo si avvale di 4 tappe principali: il conformismo iniziale (per cambiare le regole bisogna prima adattarvisi); la competenza (il leader deve dimostrare di avere la competenza necessaria ad assicurare il successo dei risultati); la legittimità (che non deve solo essere organizzativa, esterna, ma essere “conquistata sul campo); identificazione con il gruppo (attraverso la dimostrazione che il leader si identifica con gli obiettivi del gruppo ed è leale nei suoi confronti). Il leader è colui che costruisce e mantiene all’interno del gruppo una visione condivisa, attraverso il coinvolgimento e partecipazione dei propri subordinati con cui si confronta e con i quali definisce la realtà e gli obiettivi e i mezzi per raggiungerli. Il leader deve possedere tre tipi principali di competenze: competenza nella comunicazione (ascolto attivo e rimandi), di problem-solving (valorizzando l’autonomia delle persone con l’empowerment), di assertività (affermando i propri bisogni verso i terzi).

Valutare l’efficacia di un gruppo

Per valutare l’efficacia dei gruppi occorre tenere conto di due dimensioni: l’efficacia del lavoro del gruppo (la sua produttività in termini oggettivi) e il clima di lavoro, in termini quindi soggettivi.  La superiorità del gruppo, rispetto al singolo, è comunque stata confermata da più studi (ma a scapito del tempo impiegato). Nel brainstorming ad esempio vengono prodotte più idee e di migliore qualità, anche se la superiorità del gruppo è comunque relativa e non assoluta perché va rapportata alla natura del compito (semplice o complessa) e alle risorse disponibili: dove c’è coincidenza tra le due si ha la massima produttività potenziale, che va raffrontata a quella effettiva, risultante dalla potenziale meno le “perdite di processo”(demotivazione o social loafing, brainstorming poco “libero”, ecc.) Ad es. nelle culture collettivistiche (orientali) il gruppo è più importante dell’individuo e quindi gli obiettivi di gruppo saranno perseguiti con più forza; al contrario nelle culture individualiste come quelle occidentali. Le variabili che influenzano le prestazioni del gruppo sono: la natura del compito (più o meno complessa); l’identità sociale (parte della propria immagine derivante dall’appartenere a un gruppo che a sua volta si riflette sulla propria immagine rafforzandone l’autostima); la variabile cultura che influenza l’importanza del gruppo e quindi la motivazione (culture collettivistiche o individualiste).In particolare nel clima di lavoro sono presenti 5 elementi: il sostegno (livello di fiducia nel sostenere ed essere sostenuti); il calore (il livello di formalità); il riconoscimento dei ruoli, assegnati sulla base delle competenze e in relazione agli obiettivi per consentire la valorizzazione dei singoli contributi (ed evita il social loafing); l’apertura (ovvero il grado di libertà nell’esprimersi per evitare fenomeni di conformismo che ostacolano un sano brainstorming); il feed-back o ascolto attivo.

Valutare il processo decisionale anziché la decisione stessa

Nei gruppi di lavoro la decisione è estremamente rilevante, anche se viene valutata a posteriori, sulla base dei risultati che ha prodotto, mentre è il processo per arrivare alla decisione che andrebbe valutato, per capire come nascono le decisioni buone e quelle cattive. Occorre quindi analizzare il processo decisionale, che dipende in primis dalla gestione delle informazioni (dove occorre fare attenzione alla “trappole cognitive”: la facilità a giudicare più probabili gli eventi “disponibili” nella nostra memoria; la trappola della rappresentatività (pregiudizi su certi comportamenti che ci sembrano più probabili di una certa classe di appartenenza); quella dell’aggiustamento (decisione presa sulla base di un parametro definito dall’esperienza e poi “aggiustato” alla situazione attuale); illusione del controllo (dove si pensa di avere sotto controllo qualcosa che in realtà non lo è come ad es. una programmazione aziendale che poi viene cancellata).

Possibili “trappole cognitive”

Le trappole cognitive possono indurre in errori sistematici non solo a livello di individuo ma anche di gruppo, e in particolare il groupthink (decisione presa per mantenere l’armonia del gruppo senza rilevare tutte le criticità per non distruggere tale clima). Il tipo di gruppo che più difficilmente ne è colpito è il team, in quanto condivide modelli mentali comuni (e non trappole cognitive), cioè ha una rappresentazione operativa della realtà condivisa che costituisce il teamthink: ha credenze e assunti comuni per una visione e lettura della realtà comune; ha un dialogo interno, indice di una buona gestione delle diversità; ha immagini mentali per il futuro che condivide. Il gruppo efficace è in grado di combinare le tre variabili, si confronta con esse e costruisce una visione comune del futuro. Ciò consente di pensare per opportunità anziché concentrarsi sugli ostacoli.  Le decisioni, che possono essere tecniche (legate agli aspetti più basse delle gerarchie) o manageriali (proprie dei livelli quadri intermedi o istituzionali degli alti livelli gerarchici), nei team sono di tipo manageriale o istituzionale e spesso non programmate e richiedono l’apporto di tutti i membri e un tipo di decisione più vicina al consenso (anziché per delega o a maggioranza), che richiede però tempi più lunghi. La presa di decisione si attua in 4 momenti distinti: identificazione del problema, diagnosi, presa di decisione, accettazione e messa in esecuzione e si avvale di un livello elevato di partecipazione, ma è necessario considerare anche l’aspetto della responsabilità, che si struttura sulla base di 3 elementi: preparazione del lavoro (cosa come e in che sequenza), risorse e processi; supporto (i vari compiti); il controllo (coordinamento e parametri di avanzamento lavori). Dagli studi è emerso che il team a responsabilità condivisa, cioè dove tutti i membri sono responsabili a tutti e tre i livelli, è quello che raggiunge le performance migliori. In conclusione, il gruppo risulta avvantaggiato rispetto al singolo nel gestire una quantità maggiore di informazioni e nell’elaborarle ma  non è esente da difficoltà ove subisca pressioni al conformismo (groupthink o polarizzazione); può però mettere in atto strategie per la presa di decisione (team a responsabilità condivisa) che favoriscono la partecipazione e l’assunzione di responsabilità (empowerment) integrando in tal modo le tre dimensioni: individuo, gruppo e organizzazione.

Possibili applicazioni nell’ambito del counseling

Sul  versante di una applicazione concreta di quanto emerso dallo studio di Malaguti sui gruppi,  e tralasciando le concettualizzazioni più “tecniche” e adatte all’ambiente delle organizzazioni, mi pare che si possano trarre alcune indicazioni da utilizzare  anche a   livello di attività di counseling, in particolare per quanto riguarda l’area della gestione dei conflitti e quella della presa di decisioni.

Mi sembra infatti che la tecnica della “descalation”, per riportare il conflitto sul problema separandolo dalla persona sia strategica e applicabile in molte situazioni, così come  focalizzarsi sul processo decisionale e le sue diverse fasi può consentire di segmentare le criticità di un adattamento, di comprendere meglio i meccanismi reattivi delle nostre interfacce e in ultima analisi di leggere la realtà in misura pragmatica e progressiva, con una tecnica “dei piccoli passi” che consente all’individuo e alle persone con cui è in relazione  di evitare scontri e fughe dalla relazione.

Un’altra area interessante è quella relativa al leader e agli strumenti della leadership, che possono essere di aiuto nella gestione dei gruppi AMA (Auto Mutuo Aiuto): il leader infatti è soprattutto un facilitatore, in grado di attivare la partecipazione e l’assunzione di responsabilità dei suoi membri.