Info sull’Autore:
Andrea Sattin: dopo gli studi alberghieri si avvicina al mondo del sociale scegliendo un percorso universitario in scienze dell’educazione. Interrotti gli studi e dopo diverse esperienze professionali nel campo della grafica e del web, ispirato dal libro di Gramellini “L’ultima riga delle favole”, inizia il suo percorso introspettivo. Incontra così il counseling relazionale. Attualmente svolge part-time il ruolo di affidatario diurno di minori e frequenta il primo anno di formazione in Counseling Relazionale presso l’ Istituto Artemisia.
Da alcuni anni sembra che sia in arrivo, secondo ricerche psicologiche e comunicazioni dei mass media, “la sindrome da attacchi di rabbia”.
Voi direte: “Beh ma è una vita che c’è, la rabbia è sempre esistita!”.
Vero! Ma quello che sorprende (preoccupa) è la sua velocità di diffusione! Pare infatti che questa sindrome si diffonda più velocemente del DAP (Disturbo da Attacchi di Panico) o dell’anoressia.
Occorre poi distinguere la rabbia normale e sana, dagli attacchi di rabbia distruttivi che portano conseguenze negative alla persona e all’ambiente circostante.
Esaminando il fenomeno degli attacchi di rabbia, emergono tre fattori distintivi importanti:
1) Gli attacchi di rabbia hanno manifestazioni imprevedibili, quasi arbitrarie, irrazionali e folli.
2) Comportamenti collerici asociali, dove la persona colpita si trova nella condizione di distruggere rapporti di amicizia e amore restando con la sensazione frustrante e disperata di eterna condanna a causa della propria natura.
3) Costante odio e rancore, che circondano la persona avvelenandola, per lunghi periodi di tempo, a volte anche tutta la vita.
Secondo alcune statistiche, circa l’80% degli italiani ha quotidianamente impulsi di rabbia e il 20% soffre di rancore acuto costante!
Ma quali sono le motivazioni di sviluppo di questo impressionante fenomeno?
La causa più significativa sembrerebbe essere dovuta agli stressanti modelli di interazione tipici della società occidentale, improntati alla produttività e alla gerarchia, caratterizzati da rigidi criteri quali: sottomissione, efficienza e successo. Chi non riesce a stare al passo, oppure non riceve una sufficiente gratificazione, può diventare vittima di una sensazione di sfruttamento e ingiustizia. Basta pensare alle situazioni di lavoro, in cui i rapporti interpersonali possono essere impoveriti e focalizzati esclusivamente sul raggiungimento di obiettivi economici.