Nell’istante in cui nasciamo siamo energia e infinito potenziale.
Nei primi tre anni di vita iniziamo ad andare a strutturare la nostra personalità. I genitori e le persone intorno ci insegnano molto presto che “questo non si può fare, quello non è accettabile, se urliamo diamo fastidio, se saltiamo il materasso si rompe”. Questo sì, quello no. Inconsapevolmente andiamo a credere che se ci comporteremo in un determinato modo ci ameranno di meno, così come siamo non andiamo bene.
In questi primissimi anni mettiamo le basi per arrivare un giorno ad indossare quelle corazze che utilizzeremo negli anni a venire per allontanare la paura di non sentirci amati.
La paura di non essere abbastanza amati ci spinge nel tempo a mettere addosso una maschera, senza che ce ne rendiamo conto… C’è chi mette la maschera “narcisista” (che in questo contesto non c’entra con il narcisista patologico, vera e propria patologia non trattabile dalla figura professionale del counselor). Chi mette inconsapevolmente e suo malgrado questa maschera si pone – a volte solo in certi contesti – come “primadonna”, appare superbo, ha bisogno di dimostrare sempre qualcosa. Sfida le situazioni e prima ancora se stesso, prova rabbia. Pretende. La rabbia lo allontana dalla paura.
C’è chi mette la maschera “depressiva” (anche in questo caso non c’è riferimento alla depressione di tipo patologico, che è una malattia e come tale va trattata con il supporto di un professionista sanitario). E’ quello che pensa che tutti ce l’abbiano con lui: nessuno lo capisce, le persone intorno lo sfruttano, non si fida di nessuno perché tutti lo fregano. Che cosa fa? Rinuncia. La rinuncia lo allontana dall’affrontare la paura.
C’è il giudicante: ha sempre qualcosa da dire esprimendo un giudizio. Giudizio e svalutazione vanno a braccetto. Sovente disprezza. Così facendo allontana la paura.
Le maschere sono quasi sempre lo scudo che mettiamo contro l’emozione che temiamo di più: la paura. Quella che nei primi anni di vita scopriamo di provare nel timore non essere abbastanza amati se non rispondiamo alle attese dei genitori (o di altre figure di riferimento) nei nostri confronti.
Se di per sé il giudizio, la pretesa, perfino la rinuncia, possono essere funzionali: ad esempio il nostro giudice interiore ci consente di vedere quello che facciamo, come ci muoviamo nel mondo, è un parametro di riferimento importante. In altri casi e cioè quando viviamo in modo disfunzionale le relazioni interpersonali, potrebbe essere che siamo dentro la nostra maschera e magari non ce ne accorgiamo.
Siamo nella pretesa, ad esempio, quando esigiamo che gli altri entrino nella nostra testa e ci capiscano senza esserci spiegati (e ci arrabbiamo perché ci aspettavamo qualcosa di diverso. Rabbia e pretesa). Siamo nella lamentela quando ci affliggiamo senza fermarci a riflettere e rinunciamo perché tanto nessuno può aiutarci ed è sempre colpa degli altri. Siamo nel giudizio quando giudichiamo noi stessi o gli altri come un arbitro in campo senza fermarci a cercare di capire quali siano le dinamiche che stiamo mettendo in atto.
Quali conseguenze ha continuare a mettere in atto queste dinamiche relazionali poco funzionali?
Se restiamo in questo circolo “poco virtuoso” continueremo a vivere le nostre relazioni umane (magari non tutte, ma sicuramente alcune) in modo frustrante, stancante, poco costruttivo e poco sereno. Per avere relazioni autentiche e funzionali può essere utile lavorare su noi stessi uscendo dalla nostra maschera: ma come?
L’antidoto per uscire dalla dinamica pretesa-lamentela-giudizio è la RESPONSABILITA’. Questa implica imparare a vedere qual è la maschera che indossiamo.
Quale dinamica mettiamo in atto nella nostra vita quotidiana?
Per riuscire ad uscire dalla dinamica dobbiamo allenarci ogni giorno ad osservarci, chiedendoci: quale dinamica ho messo in atto oggi con quella persona? Sono consapevole che talvolta metto la maschera narcisista della pretesa oppure depressiva della rinuncia o ancora del giudice che disprezza (anche me stesso)? Ogni giorno mi prenderò anche solo un minuto per chiedermi in quale momento o situazione della giornata sono stato nella dinamica pretesa-lamentela-giudizio e la osservo.
Più vedo le mie dinamiche, più posso trasformarle e per trasformarle ci vogliono tempo e costanza.
Proverò anche a far caso a quanto mi identifico nella dinamica: se sono nella maschera narcisista, ad esempio, mi renderò conto che non solo provo rabbia… In quella dinamica io sono rabbia, divento la rabbia. Mi trasformo nella rabbia.
Il passo successivo ad avere visto la mia dinamica poco funzionale è attraversarla, viverla, passarci attraverso. Rendermi conto che quella maschera mi serve per allontanare la paura di vedere la mia ferita. Quella ferita che fatico a riconoscere. Allora mi fermo e mi chiedo: mi viene in mente un episodio della mia vita in cui la mia autostima è stata danneggiata? Posso scriverlo, se mi aiuta a mettere a fuoco e a riflettere. Scrivo l’accaduto e che cosa ho provato. Mi fermo e mi chiedo: dove sento questa emozione nel corpo? Che forma le do? Riesco a darle anche un colore magari? Una collocazione fisica nel corpo?
“Il tuo risveglio inizia quando ti accorgi che non sei i tuoi pensieri”
Eckart Tolle
E infine mi chiedo: quale lezione spirituale ho appreso in quella situazione? Questo ampliamento di coscienza come alimenta la mia autostima?
Con il tempo e con la costanza riuscirò a vedere le dinamiche pretesa/giudizio/lamentela e magari potrò uscirne per poter vivere le mie relazioni in modo più appagante.
Ho scelto di iscrivermi in Artemisia nel momento in cui ho sentito il desiderio di vedere le dinamiche che metto in atto nelle mie relazioni, per poterle rendere migliori giorno dopo giorno e per acquisire gli strumenti per lavorare sulle mie difficoltà momentanee valorizzando le mie risorse interiori.
Articolo di Francesca V. (corsista dell’Istituto Artemisia)