Istituto Artemisia

ISTITUTO

Counseling Relazionale Istituto Artemisia

COUNSELING

Coaching Istituto Artemisia

COACHING

Sostegno Istituto Artemisia

SOSTEGNO

Crescita personale Istituto Artemisia

CRESCITA PERSONALE

Operatore olistico Istituto Artemisia

PROFESSIONISTA OLISTICO

IL MIO ANGIOLETTO…E TANTI ALTRI

di Arianna Garrone ,direttore Istituto di formazione in counseling relazionale Artemisia

 

 Ho trentasette anni e sono all’inizio del sesto mese di gravidanza. È una bambina.

È febbraio. Avvolta nella mia giacca verde scuro, con i guanti di lana per scaldarmi le mani sempre troppo fredde, vado all’ospedale per un’ecografia di routine.

È tutto come al solito: il gel freddo che distrae da ogni pensiero, il video a fianco della dottoressa che passa l’ecografo sulla mia pancia.

Tutto sembra come sempre, ma qualcosa non va. Lo sento chiaro ma non riesco a capire.

Le parole mi colpiscono come un fulmine, sono attonita. “Cosa vuole dire?” chiedo. Anche se il fulmine non aveva lasciato spazio al dubbio, la speranza sosteneva l’incredulità.

“Alla sua bambina non batte più il cuore”. È morta penso. Perché non ha usato questo termine? È così innominabile? Sono confusa, penso non sia possibile.

Esco dall’ospedale e appena mi siedo nella mia automobile azzurra, che ancora odora di cane, cerco il mio cellulare nel caos della borsetta e delle mie emozioni. Telefono a mio marito e subito dopo al mio ginecologo.  Prendo un appuntamento per il giorno stesso. Ho l’urgenza di capire perché, come mai, cosa è successo… e ora come e cosa fare?

All’ospedale mi hanno già fatto il foglio di ricovero per il giorno successivo per procedere con l’aborto. È urgente, decisamente urgente, probabilmente già da quindici giorni il cuore della bimba aveva  cessato di battere…., potrebbe diventare pericoloso, c’è il pericolo della setticemia,  trascurare potrebbe portare via anche me.  Ma io voglio vivere…c’è l’altro figlio a casa ad aspettarmi. aborto, counseling

Il giorno dopo vado in ospedale e invece di abortire sotto anestesia, decido di partorire.

Voglio vedere la bimba per poterla salutare, per lasciarla andare…voglio verificare che sia veramente morta…

I medici provano a indurmi le contrazioni del parto, ma la bimba non esce.

Dalla porta sulla mia sinistra entra un’anestesista donna con i capelli d’oro rossiccio e una collana di ambra…”è la pietra degli sciamani” mi sussurra all’orecchio mia sorella che  per vari casi fortunati (Jung la definirebbe una sincronicità degli eventi) è arrivata, dalla Francia, in tempo per assistermi.

L’anestesista è appoggiata con le braccia al fondo del mio letto, mi guarda, ha dei grandi occhi verdi, pieni di luce e di vita, m’ispira fiducia. Non ho mai dimenticato quello sguardo e quando dopo anni  l’ho incontrata per caso alla stazione di Genova, l’ho riconosciuta e mi sono fermata per salutarla! C’è un’altra persona alla sua sinistra, ma non ricordo nulla, neanche se è uomo o donna…

L’anestesista dice che è pericoloso insistere con le contrazioni indotte perché si rischiano lacerazioni. Chiedo di aspettare ancora un attimo…so che ce la posso fare e alla contrazione successiva sento del liquido caldo che mi scende lungo l’interno della coscia, si sono rotte le acque e poco dopo esce la bimba.

La mettono in un lenzuolo bianco, avvolta come un bebè ed io chiedo di poterla vedere, toccare…è perfetta…è tutta formata, un essere in miniatura. Ha lo stesso mio odore.

È anche calda, ma non apre gli occhi…è proprio morta.

Le tocco quelle piccole dita della mano, le mancano solo le ali, sembra proprio un angioletto. È straziante, ma anche consolatorio. Nella stanza siamo rimaste io e mia sorella ed entrambe stiamo piangendo…con noi c’è solo un’ infermiera che rispetta il nostro dolore e il nostro silenzio. Gliene siamo grate.

Non ricordo  se esco dall’ospedale  il giorno stesso o il giorno dopo, ma mi ricordo che mentre uscivo ringraziavo Dio di avere un figlio a casa ad aspettarmi.

So di aver bisogno di condividere quanto mi è successo, ho bisogno di aiuto. Mi sostiene il dare valore a tutte le persone che mi stanno accanto e mi vogliono bene. Durante una seduta di Counseling ho bisogno di uno spazio per piangere ancora ed essere accolta mentre racconto il vuoto che è rimasto e che, sono sicura, rimarrà per sempre.

Dopo questa esperienza ancora di più mi sono dedicata, nella mia attività di Counselor, a sostenere persone in lutto, alla formazione di operatori che lavorano a contatto con persone morenti e da parecchi anni sono la responsabile del Progetto di Sostegno al Lutto di una fondazione di Torino con i gruppi di Auto Mutuo Aiuto.

Ho incontrato centinaia di persone.

Le accolgo per il primo appuntamento in una stanza al settimo piano con la finestra che si affaccia sulla ferrovia dove continuamente passano i treni che stridono sulle rotaie e fanno rumore quasi come stride il vissuto che la persona mi porta, divisa tra il suo desiderio di affogare nella disperazione e l’istinto di sopravvivere.

Hanno voglia di condividere, di parlare, a volte di raccontare nei particolari il percorso di fine vita della persona scomparsa. Sembra quasi che quella attenta descrizione dei particolari aiuti a mantenere viva nella memoria la persona deceduta.

A volte mi mostrano la foto per farmi ben comprendere di chi mi stanno parlando.

La loro disperazione mista alla rabbia è anche intrisa da un senso d’impotenza che sembra impregnare l’aria della stanza con la moquette rossa.

Altre persone arrivano da me per compiere un percorso individuale di counseling e le accolgo nel mio studio. Per arrivare è necessario salire una rampa di scale di pietra e spesso le persone arrivano in cima con il respiro un po’ corto. A volte mi chiedo quanto sono le scale ad accorciare il loro respiro o quanto sia l’ansia, l’angoscia che la persona ha dentro di sé che toglie il fiato.

Nel mio studio d’inverno il fuoco del camino è acceso, le poltrone sono sistemate accanto.

Incomincio io a parlare, per accogliere la persona e creare una relazione:  spiego chi sono, la mia modalità di lavorare. Poi lascio che sia la persona a parlare e la domanda che spesso incontro, sia nel mio studio, sia nella stanza del settimo piano è:

“come farò a sopravvivere a tutto questo?”

La morte di un familiare, di una persona amata è una delle esperienze più traumatiche che l’essere umano possa affrontare. La drammaticità di ogni perdita ci butta nel buio portandoci a dubitare anche sul proseguimento della nostra vita, non vediamo una via d’uscita, “nulla sarà più come prima”.

L’angoscia per una perdita fa vacillare ogni precedente equilibrio  e costringe a cercarne di nuovi per continuare a vivere.

L’elaborazione del lutto è un lavoro impegnativo e costante. A volte si riesce a sopravvivere al dolore, ma richiudendosi in stessi, perdendo il piacere della vita, rifiutando la felicità che la vita può ancora offrire.

Il cambiamento richiesto è invece radicale, esige una nuova organizzazione.

Con il sostegno di un Counselor possiamo scoprire le nostre risorse, acquisire gli strumenti per compiere il difficile percorso di elaborazione del lutto.

Il percorso passa attraverso NOI STESSI: la guarigione richiede autostima, fiducia in se stessi e nelle proprie risorse di cambiamento, consapevolezza di sé, auto-accettazione.

È nostra la RESPONSABILITA’ di fare la scelta di smettere di lamentarci e ricominciare a vivere.

Ma la trasformazione non può avvenire stando in isolamento, le PERSONE intorno a noi  sono fondamentali con la loro vicinanza,  i loro modi di sostenere, di condividere.

Dobbiamo saperci PERDONARE per trasformare il nostro senso di colpa e comprendere che abbiamo fatto ciò che eravamo in grado di fare in quell’esatto momento.

Ricominciamo a rientrare nel mondo dei vivi con l’ARTE DELLA FORMICA: un passo dopo l’altro, piccolo, possibile, realizzabile concedendoci il TEMPO necessario.

L’utilizzo delle TECNICHE di ASCOLTO che negli anni ho messo a punto e utilizzo nel mio lavoro di Counselor Relazionale rappresenta uno strumento per contenere e abbassare l’ansia nella persona. È pertanto uno strumento utilizzabile anche nelle situazioni di sofferenza legate ad un lutto. Riuscire ad ascoltarci ci aiuta a vivere nel qui e ora, nel momento presente quando  spesso siamo, con i nostri pensieri,  proiettati in avanti nel futuro…come farò a reggere tutto questo, quale sarà la mia vita, non posso vivere senza di lui… oppure legati a qualcosa che è passato…avrei potuto, avrei dovuto….e tutto ciò fa aumentare l’ansia. Le tecniche di ascolto ci aiutano a staccare dai nostri pensieri, a sentire quanto è rumoroso il nostro silenzio interiore e sviluppare la consapevolezza. Solo se stiamo nel momento presente possiamo comprendere chi siamo, come stiamo, qual è il nostro bisogno,  cosa accade nel nostro mondo interiore, e solo se comprendiamo chi siamo e cosa vogliamo… possiamo muoverci, trovare una direzione, migliorare la qualità di vita. Con le tecniche di ascolto impariamo a stare nel momento presente, ma anche a superare i momenti difficili nei quali i pensieri prendono il sopravvento e alimentano la nostra sofferenza emotiva. Stare nel momento presente ci insegna ad apprezzare le piccole cose del quotidiano che migliorano la qualità di vita e ci danno l’energia per affrontare le situazioni più difficili.

Chi rimane, passando attraverso l’angoscia della separazione e della perdita, deve trovare dentro di sé le risorse più profonde per RI-COMINCIARE a vivere.

Il Counseling offre gli strumenti necessari per giungere a una buona elaborazione del lutto sapendo che la ferita  potrà essere  curata, ma la cicatrice resterà per tutta la vita

…e quando le persone vanno via non hanno più il fiato corto e il loro vissuto interiore non stride come un treno sulle rotaie.