Torino, 13/11/2019 – Tesi di diploma F.B.
Questi tre anni di scuola mi hanno donato la consapevolezza della ricerca che ha caratterizzato maggiormente la mia vita: la ricerca di Dio, del senso della vita, perché «il problema dell’uomo è il problema di Dio» (Vedo un ramo di mandorlo, Marko I. Rupnik – Maria Campatelli). Di un Dio diverso da quello che mi era stato proposto fin da bambino. Ad un certo punto mi sono stufato delle solite prediche ed insegnamenti, cioè di «essere passivo recipiente di parole ed idee, di acquisire semplicemente conoscenze, un bagaglio da portarmi a casa e mandare a mente. Volevo qualcosa che mi coinvolgesse e mi mutasse. Volevo, cioè, che, dopo ogni approfondimento, io mi sentissi diverso da come ero prima». Cercavo di arrivare ad una fede che non fosse «una stampella per avere una risposta al problema dell’esistenza. Volevo percorrere un processo di negazione degli idoli, del Dio che posso “avere”, un processo di de-idolizzazione di Dio. Cercavo una fede garantita dall’esperienza interiore delle divine qualità nel mio io per dirla con Maestro Eckhart. Una fede siffatta si basa su fatti. Ragion per cui è razionale. I fatti, tuttavia, non sono riconoscibili né comprovabili col ricorso al metodo della psicologia convenzionale, positivistica. Io, persona vivente, sono l’unico strumento capace di registrarli» (Erich Fromm, Avere o essere). Questa consapevolezza ha rivoluzionato la mia vita. D’altronde, mi ero convinto che «la mancanza di consapevolezza può essere disastrosa» (Daniel Colemann, L’intelligenza emotiva). E, in una certa parte, questa mancanza io l’avevo sperimentata sulla mia pelle.
Poi ho riletto una delle pagine più intense de I promessi sposi di Alessandro Manzoni: l’incontro tra il Cardinal Federico e l’Innominato. Questi, dopo una notte insonne e popolata di incubi, decide di accodarsi a tutta la gente che va ad incontrare il Cardinale. Quando è alla sua presenza, rimane stupito dall’accoglienza che riceve. Quel «sant’uomo», come lo definirà don Abbondio, lo sollecita: «Voi avete una buona nuova da darmi, e me la fate tanto sospirare?». L’Innominato risponde, accigliato: «Una buona nuova, io? Ho l’inferno nel cuore; e vi darò una buona nuova? Ditemi voi, se lo sapete, qual è questa buona nuova che aspettate da un par mio». «Che Dio v’ha toccato il cuore, e vuol farvi suo», risponde pacatamente il cardinale. «Dio! Dio! Dio! Se lo vedessi! Se lo sentissi! Dov’è questo Dio?». «Voi me lo domandate? Voi? E chi più di voi l’ha vicino? Non ve lo sentite in cuore, che v’opprime, che v’agita, che non vi lascia stare, e nello stesso tempo v’attira?». «Oh, certo! Ho qui qualche cosa che m’opprime, che mi rode! Ma Dio! Se c’è questo Dio, se è quello che dicono, cosa volete che faccia di me?». E qui il Cardinale gli prospetta una conversione totale (capitolo 23).
Gustave Jung espresse lo stesso concetto in una lettera scritta nel 1952 ad un giovane ecclesiastico: «Tutti i miei pensieri ruotano attorno a Dio, come i pianeti intorno al sole, e, come questi, sono attratti irresistibilmente da Lui. Sentirei di commettere il più grave peccato se opponessi resistenza a questa forza» (Ricordo, Sogni e riflessioni, Introduzione).
Allora: dov’è questo Dio che è oggetto preponderante della mia vita? Dov’è quel Regno promesso?
Mi sono ricordato, però, del libro del Qoelet,che una volta veniva chiamato Ecclesiaste: «Mi sono proposto di ricercare ed investigare con saggezza cosa si fa sotto il cielo» (Qo, 1,13).
Ed allora ho continuato la ricerca e mi sono accorto della mia diade, dicotomia, dualità, non so come definirla con esattezza, che c’era dentro di me. Mi sentivo un po’ strabico: da una parte ero focalizzato sul passato colmo di errori, peccati, tradimenti, e, dall’altra, ero teso verso un futuro di riscatto, di riparazione dei miei sbagli. Il senso del peccato, era tragicamente legato «alla mia inadeguatezza a vivere secondo la perfezione prefissatami da altri o da me stesso, all’incapacità di corrispondere all’ideale desiderato» (Vedo un ramo di mandorlo, Marko I. Rupnik – Maria Campatelli). Da qui l’importanza di guardare in faccia la realtà, senza paure o reticenze, come ripete continuamente Simone Pacot nei suoi libri, raccomandando di chiamarla per nome, attraversarla, non evitarla. Ma dal mio vissuto nasceva una marea di propositi, nebulosi e complessati, tesi a recuperare, a riparare, ma senza aver consapevolezza dell’obiettivo.
Poi ho incrociato Eckart Tolle: «Il mio proposito interiore è stare qui a fare quello che sto facendo, perché questo è dove sono ora e questo è quello che sto facendo. Fino a quando non mi alzerò e farò qualcos’altro. Allora, quello diventerà il mio proposito interiore» (Un nuovo mondo). Ed ancora: «Non cercare nessuna altra condizione che quella in cui ti trovi adesso. Perdonati quando ti accorgi di non essere in pace. Il perdono, fondamentalmente, significa riconoscere l’inconsistenza del passato e permettere al presente di essere così com’è» (Il potere di adesso). O, come dice Anselm Grün nel suo libro Spiritualità dal basso: «Non è la mia virtù ad aprirmi il varco a Dio, ma la mia debolezza, la mia impotenza, addirittura il mio peccato».
Questo ha smontato il mio castello. Come posso lasciare di progettare il mio futuro di redenzione, di riabilitazione, così prezioso ai miei occhi?
Simone Pacot scrive: «La prima tappa dell’accettazione della realtà del momento consiste nell’”abbandonare la presa”» (Aprire la porta allo Spirito). Ed è il medesimo concetto di Eckart Tolle: «Lo spazio interiore emerge ogni volta che abbandonate il bisogno di enfatizzare la vostra forma-identità. Gesù ha insegnato che dovete perdere voi stessi per ritrovare voi stessi. Ogni volta che lasciate andare uno di questi schemi, indebolite l’immagine di chi siete a livello della forma» (Un nuovo mondo). La stessa impostazione è quella espressa da Krishnananda Amana, nel suo libro A tu per tu con la paura: «Lasciar andare significa spostare l’attenzione all’interno, invece di controllare l’esterno. Quando si presenta una minaccia o una delusione, noi reagiamo, per la nostra sopravvivenza. È una risposta istintiva alla minaccia. Questa posizione reattiva è “la posizione del fantino”, perché la nostra energia è in alto e diretta in avanti verso l’obiettivo, di cambiare l’esterno. Quando, invece ci siamo messi comodi con noi stessi, dandoci spazio per sentire, osservare ed accettare, siamo tornati “a sederci sulla sella”. Siamo, così, seduti sulla nostra sedia interiore e spegniamo l’istintivo impulso a reagire. Sedersi sulla sella è un lasciar andare ed un andare dentro». Tutto questo lo ritrovo in un concetto tipicamente cristiano: la Kenosis, che significa “svuotamento”, cioè quel processo che porta a svuotarsi del proprio egocentrismo, per assumere un atteggiamento di libertà dalla paura, dall’invidia, dal ripiegamento su di sé, in perfetta unione con Dio. –
Il momento presente è l’unico su cui possiamo agire, in quanto «il passato rimane lì, occupa il suo posto; ma come passato, come già vissuto, come defunto; non è più disponibile per essere vissuto e sofferto di nuovo», come scriveva Jacques Maritain, ne L’umanesimo integrale. Mi è stata d’aiuto ancora Simone Pacot: «Si tratta di un cammino inusuale, difficile, profondamente religioso» (Aprire la porta allo Spirito), un cammino che parte dall’ipotetico per arrivare al reale, da un passato immutabile, inciso sul granito e da un futuro fumoso, per approdare alla pregnanza dell’oggi.
Ma allora, dov’è quel Regno promesso? Approfondendo la mia conoscenza biblica, ho appurato che molti brani classici, usati per definire e descrivere questo Regno, hanno un significato ben diverso da come l’avevo recepito, e cioè che questo Regno è qui, presente, oggi, dentro di me, perché «il regno di Dio non è un luogo, è essere, è vita, è la stessa vita divina» (Claude Tresmontant, L’insegnamento di Jeshua di Nazaret). A cominciare dalla principale preghiera ebraica, lo Shemà Israel che il pio ebreo recita due volte al giorno: «Ascolta, Israele, i precetti che oggi ti do» (Dt 6,4-6), e poi Mosé (Dt 30,11-20), il piccolo profeta Sofonia (Sof 3,15), Gesù (Lc 17,21), il Discorso della Montagna (Lc 6,20), il Padre nostro (Mt 6,11; Lc 11,3). Questo aspetto è stato messo in evidenza da Erich Fromm, nel suo Avere o essere. Anche la Lettera agli Ebrei lo sottolinea: «Esortatevi a vicenda ogni giorno, finché dura quest’oggi» (Eb 3,13). E la specificazione di questo ”oggi” è ripetuta lungo tutti i libri biblici. Eckart Tolle lo riprende nel suo Un mondo nuovo. Riprende una frase dall’Apocalisse di Giovanni: «Poi vidi un cielo nuovo ed una terra nuova» (Ap 21,1). E commenta: «Le fondamenta per una nuova terra sono un nuovo cielo, cioè la coscienza risvegliata. La terra, la realtà esterna, è solo il suo riflesso esteriore. Un nuovo cielo ed una nuova terra stanno sorgendo in me in questo momento».
Questo insistere sulla realtà di “oggi” mi riporta immediatamente al “qui ed ora” gestaltico, nonché ad un termine tra i più ricorrenti nelle ore di scuola: “centratura”. Arianna, parlando del Maestro interiore, definiva questa “centratura” come «la casa interiore, dentro se stessi, il nostro universo interiore». Ed affermava: «È un luogo segreto che tu solo conosci ed in cui sei sicuro di essere te stesso e di essere riconosciuto nella verità. È lì che ha inizio, per te, l’incontro con Dio». Nella parabola del “figlio prodigo” (Lc 15,11-32) la svolta decisiva avviene quando il ragazzo «rientra in se stesso», cioè prende coscienza della sua situazione in quel momento, nel “qui ed ora”, potremmo dire. Significa essere e restare centrati su se stessi, in quanto è lì che si trova la divinità. In tal modo cade completamente la mia concezione di un Dio mago Zurlì, che interviene improvvisamente e, con una bacchetta magica, sistema tutto. E cade pure la concezione del Dio supermercato che, quando finisci la tessera punti, ti regala la padella! Si è trattato di elaborare un lutto, come dice più volte Simone Pacot (Evangelizzazione del profondo) che mi invita ad «iniziare la salita, anche senza sapere dove porti, ma con la fiducia dello Spirito, sull’esempio di Abramo» (Osa la vita nuova).
Mi è stato di aiuto l’analisi dei miei grafi. In particolare ho lavorato sul Tranquillizzante. Ho sfruttato a più riprese il mio Creativo, in quanto capace di vedere le cose da un altro punto di vista. E qui ho riscontrato un’altra convergenza. Come mai nella Bibbia si parla molto spesso del monte come del luogo privilegiato in cui Dio si manifesta, da Mosé ad Elia ed Eliseo, dal Moria, monte di Gerusalemme, al Nebo? Perché Gesù sale sul Tabor con i suoi tre discepoli? Perché dal monte si possono vedere le stesse cose, ma da un punto di vista diverso. Ecco il significato della Trasfigurazione di Gesù (Mt 17,1-8; Mc 9,2-8; Lc 9,28-36)! Infine, la Rabbia mi ha spinto a chiarire i confini, che, fino a ieri, erano vaghi. Non si tratta più di una fusione disfunzionale, ma di una chiarezza di ruoli: Dio è Dio e faccia il suo compito e l’uomo è uomo e non si metta al posto di Dio ma neppure aspetti tutto da Dio.
Ma allora Dio non rispetta le mie aspettative, non risponde alle mie attese? Mi capita, per caso, o forse no, tra le mani James Hillman, con un suo piccolo trattato, Il tradimento: «Quando si spezza la fiducia originale, il Dio “puer” muore e nasce l’uomo. E l’uomo può nascere soltanto quando nasce il femminile che è in lui. Dio e uomo, padre e figlio, non sono più una cosa sola. Questa è una trasformazione radicale dell’universo maschile». Sulla stessa lunghezza d’onda Umberto Galimberti, nel suo Le cose dell’amore: «In ogni tradimento c’è un lampeggiare di verità e di autenticità che chi è tradito non vuole vedere. Tradire significa svincolarsi da una appartenenza e creare uno spazio di identità non protetta da alcun rapporto fiduciario, e, quindi, in un certo senso, più autentica e vera. Nasciamo nella fiducia che qualcuno ci nutra e ci ami per sempre. Possiamo crescere e diventare noi stessi solo se usciamo da questa fiducia, se a coloro che ci amano un giorno sappiamo dire: “Non sono come tu mi vuoi”».
Comincio, allora, a vedere Dio non più come un essere esterno, al di là, da conquistare, convincere, comprare, ma Dio in me, dentro di me. Ed io, come essere creato, faccio parte di qualcosa più grande di me, un qualcosa che mi unisce agli altri esseri creati. Come aveva ben espresso Jonne Donne: « Nessun uomo è un’isola, intero in se stesso. Ogni uomo è un pezzo del Continente, una parte della Terra. Se una Zolla viene portata via dall’onda del Mare, l’Europa ne è diminuita. Ogni morte di uomo mi diminuisce, perché io partecipo dell’Umanità. E così, non mandare mai a chiedere per chi suona la campana. Essa suona per te» (Devotions upon Emergent Occasions, XVII Meditation). Anche Platone, nella sua opera Le Leggi, aveva espresso il medesimo concetto: «Anche quel piccolo frammento che tu rappresenti, o uomo, ha sempre il suo intimo rapporto con il cosmo. Tu, uomo, vieni generato per la vita cosmica». Ho poi sentito parlare dei “Campi morfici”, di inconscio collettivo ed inconscio individuale di Gustave Jung, di Matrix divina di Gregg Braden.
Trovo affascinante il fatto che, pur usando termini diversi, e richiamandosi a tradizioni differenti, il significato di fondo è lo stesso. In effetti, esprimono la stessa realtà con un linguaggio proprio. Aveva ragione Pierre Teilhard de Chardin, quando, nella sua reinterpretazione della teoria evolutiva, parlava di una tendenza all’unità finale di tutta la creazione (Il fenomeno umano).
Vale la pena di percorrere i tre stadi, di cui parla Daniel Colemann, ne L’intelligenza emotiva, per attuare un ri-apprendimento. Simone Pacot, nella sua tetralogia, ripete costantemente di «dare un nome preciso al cammino di distruzione che si è potuto intraprendere, metterlo in chiaro. Si può scegliere la vita solo se si abbandona il cammino di morte conosciuto e verbalizzato» (Torna alla vita!). Come? Rispettando la “gerarchia dei bisogni” di Abraham Maslow. Il che equivale ad ascoltarsi, amarsi, rispettarsi in accordo con l’antico comando biblico: «Ama il tuo prossimo come te stesso» (Lv 19,18; Mt 22,39; Rom 13,9; Gal 5,14; Gc 2,87). È quello su cui insiste Krishnananda Amana, nel suo libro A tu per tu con la paura, cioè mettere ben chiari i confini tra se stessi, gli altri, il resto del mondo, come suggerisce anche Lise Bourbeau, nel suo libro Le 5 ferite e come guarirle.
Tutto questo può essere sintetizzato con una sola parola: cambiamento, con tutto il carico di paure, resistenze, incertezze, abbandono della zona di confort. Ciò significa che «si lascia una terra, ed il mare aperto non profila ancora confini» (Paesaggi dell’anima, Umberto Galimberti).
Riprendo due termini usati poco prima: il femminile che è nell’uomo, da James Hillman, ne Il tradimento, e la “gerarchia dei bisogni” di Abraham Maslow, che nel mondo religioso diventa sinonimo di amore. Faccio riferimento alla scoperta che ho fatto, nei tre anni di scuola, del femminile che è in me e che non avevo mai liberato, scoperta che mi è diventata chiarissima durante il Residenziale del 2018, a Pragelato. E faccio alcuni collegamenti. Quando Gesù vuole insegnare praticamente l’amore, cosa sia, come lo si traduca in gesti concreti, quotidiani, semplici, veri, porta, come esempio, delle donne. Inoltre, l’espressione che Dio crea l’uomo «maschio e femmina a nostra immagine e somiglianza» (Gen 1,26-27) significa che l’uomo non può venire al mondo senza la donna, né la donna senza l’uomo (Talmud, citato da Aldo Carotenuto, Amare tradire).
Cosa concludo? Riprendo ancora una pagina di Eckart Tolle: «Non ha senso parlare di “trovare Dio”, perché come puoi trovare ciò che non hai mai perso, la vita stessa che tu incarni? La parola Dio è limitante perché implica una entità diversa da te. Dio è l’Essere stesso, non un essere qualunque. Non può esserci una relazione tra soggetto ed oggetto qui, né dualità, né tu separato da Lui. La realizzazione di Dio è la cosa più naturale che ci sia. Il fatto più sorprendente ed incomprensibile non è che puoi essere consapevole di Dio, ma che non lo sei» (Il potere di adesso).
A questo punto, faccio mia l’esclamazione di Sant’Agostino: «Tardi ti ho amato, bellezza tanto antica e tanto nuova, tardi ti ho amato» (Le confessioni), ma sono lieto di aver trovato quell’armonia che è stata la ricerca di Pierre Teilhard de Chardin in tutta la sua vita: «Collegare l’amore per la terra e l’amore per il Cristo in modo tale da non dover sacrificare né la terra a Cristo, né Cristo alla terra, ma da poter raggiungere ed amare in uno stesso slancio vitale la terra e Cristo» (Il cuore della materia).
E qui sono ritornato là da dove ero partito: all’Innominato del Manzoni ed alla lettera di Jung, ma con una consapevolezza di gran lunga maggiore ed una visione molto più ampia. A questo punto, posso ripetere la frase che André Frossard ha messo come titolo del suo libro pubblicato nel 1969, ben trent’anni dopo la sua conversione: Dio esiste, io l’ho incontrato. Non riesce, però, a spiegare, neppure a se stesso, come nel giro di pochi minuti, in una piazza assolata di Parigi, da ateo convinto si sia ritrovato convertito, avendo incontrato Dio. Cosa ha sentito lui, cosa sento io nel cuore, che mi agita, che non mi lascia stare, e nello stesso tempo mi attira? Dò voce al mio animo: «Come la cerva anela ai corsi d’acqua, così l’anima mia anela a te, mio Dio» (Sal 42-43[41-42], 2). Questo lungo cammino mi ha portato a comprendere che, «nel pensiero biblico, l’esistenza di Dio è oggetto di una conoscenza» (Claude Tresmontant, L’esistenza di Dio, oggi). Quella conoscenza sottolineata più volte da Gesù (Gv 4,22; 14-17), raccomandata continuamente da Paolo (Col 1,9-10; 2,2; 1Cor 13,12; 2Cor 10,5; Ef 1,17-18), augurata da Pietro (2Pt 1,2). Posso dire, a me stesso, che non ho trovato Dio, perché, finalmente, l’ho conosciuto, o come dice Arianna, ho unificato il mio Dio interiore, personale, con il Dio universale. Guardando al cammino fatto, riscontro che Dio mi ha attirato a sé, mi ha accompagnato nel mio deserto del razionale, ha parlato al mio cuore (Os 2,16). Oggi posso dire che ho inteso la sua parola, l’ho riconosciuta, l’ho accolta. E sono più in pace, con un Tranquillizzante molto più alto di quando ho iniziato la scuola.
Bibliografia.
La Bibbia, Antico e Nuovo Testamento
Simone Pacot, L’evangelizzazione del profondo I.
Simone Pacot, Torna alla vita! L’evangelizzazione del profondo II.
Simone Pacot, Osa la vita nuova! I cammini delle nostre Pasque. L’evangelizzazione del profondo III.
Simone Pacot, Aprire la porta allo Spirito. Epifania.
Marko I. Rupnik – Maria Campatelli, Vedo un ramo di mandorlo
Erich Fromm, Avere o essere
Daniel Colemann, L’intelligenza emotiva
Alessandro Manzoni, I promessi sposi
Carl Gustave Jung, Ricordo, Sogni e riflessioni, Introduzione
Ignacio Larrañaga, Il silenzio di Dio
Eckart Tolle, Un nuovo mondo
Eckart Tolle, Il potere di adesso
Teresa di Lisieux, Storia di un’anima
Anselm Grün, Spiritualità dal basso
Krishnananda Amana, A tu per tu con la paura
Giovanni della Croce, La notte oscura
Meister Eckhart, Deutschen Predigten, ossia le Prediche in Tedesco
Jacques Maritain, L’umanesimo integrale
Arianna Garrone, Il Maestro interiore
Paul Tillich, Il coraggio di esistere
James Hillman, Il tradimento
Umberto Galimberti, Le cose dell’amore
Jonne Donne, Devotions upon Emergent Occasions, XVII Meditation
Carl Gustave Jung, La psicologia dell’inconscio
Gregg Braden, Matrix divina
Platone, Le Leggi
Pierre Teilhard de Chardin, Il fenomeno umano
Pierre Teilhard de Chardin, Il cuore della materia
Abraham Maslow, Motivation and Personality, La piramide o gerarchia dei bisogni
Krishnananda Amana, A tu per tu con la paura
Lise Bourbeau, Le 5 ferite e come guarirle
Umberto Galimberti, Paesaggi dell’anima,
Christos Yannaras, Variazioni sul Cantico dei Cantici
Aldo Carotenuto, Amare tradire
Agostino di Tagaste, Le confessioni
André Frossard, Dio esiste, io l’ho incontrato
Claude Tresmontant, L’esistenza di Dio, oggi
Claude Tresmontant, L’insegnamento di Jeshua di Nazaret